sabato 22 luglio 2006
Non è mai da solo chi è persona. Si diventa persona in un rapporto di reciprocità e di relazione. È essere l'un l'altro l'elemento costitutivo del processo che rende l'essere umano una persona. È morto lo scorso anno a 92 anni e per oltre mezzo secolo il filosofo francese Paul Ricoeur è stato un punto di riferimento nobile del pensiero contemporaneo. Ci affidiamo a queste sue parole per commentare una locuzione, l'un l'altro, che indica il rapporto di reciprocità che intercorre tra due persone. Famoso è l'appello di Cristo: «Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato» (Giovanni 15, 12). La donna del Cantico dei cantici esprime in modo folgorante questo legame: «Il mio amato è mio e io sono sua" Io sono del mio amato e il mio amato è mio» (2, 16; 6, 3). Non si è ancora pienamente persona umana, se non si esce da se stessi per incontrare l'altro. La monade chiusa in se stessa o la porta blindata che ti isola dagli altri nel sospetto e nella paura sono immagini che rappresentano una situazione abbastanza comune. Certo, ci sono rischi ogni volta che si apre la porta del cuore o si stende le braccia a un altro, ma guai a chi decide di optare per l'isolamento e l'autismo spirituale. Già Qohelet, sapiente biblico piuttosto scettico nei confronti del prossimo, doveva riconoscere che «è meglio essere in due che uno solo: infatti, se vengono a cadere, l'uno rialza l'altro. Guai, invece, a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Se due dormono insieme, si possono riscaldare; ma uno solo come fa a riscaldarsi?» (4, 9-11). L'egoismo, la solitudine forzata, la chiusura a riccio, alla fine, rendono l'uomo non più persona ma un prigioniero di se stesso, un infelice autorecluso, un segregato senza amore.
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