venerdì 21 gennaio 2022
Era un rudere, profonde le brecce nei vecchi muri. Ma da quella piccola cascina su una collina del Monferrato la vista spaziava infinita. E c'era una stalla con le mangiatoie, e nella cantina buia ancora le botti; e da un abbaino si scorgevano le nuvole correre in cielo. Era la casa che avevo sempre sognato.
Il muratore mi mostrò, nella cantina oscura, un piccolo sportello basso, che non avevo notato. Forzò un artritico catenaccio. Con una torcia fece luce: illuminò un antro ancora più profondo, cieco. Una dozzina di vecchissime polverose bottiglie di vino erano ancora lì. «Questo è l'infernot», mi spiegò l'uomo, «qui conservavano le bottiglie migliori».
Quell'infernot, mi preoccupava un po'. Mi inquietava, l'antro nero sotto la casa. Così chiesi di murare l'apertura. Mi rimasero bottiglie di remote vendemmie: 1962, 1957, 1950. Dal vetro scurissimo non traspariva niente. Un vino straordinario? O solo aceto? Non osai aprirle.
L'infernot, benché murato, c'è ancora. Ci penso di notte, quando sento qualche strano rumore. Ma quel luogo segreto nel cuore della casa davvero è poi un "inferno"? E come mai allora lì decantava il vino migliore?
Vorrei riaprirlo adesso, l'infernot. Magari c'è, la più nascosta, la più preziosa, un'ultima bottiglia. Che, stappandola, ancora ne esca il profumo di una vendemmia antica? Come uno struggente elisir di vita.
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