mercoledì 7 settembre 2005
All'uccello cieco è Dio che fa il nido. Questa è forse la citazione più breve posta in apertura ai quasi quattromila "Mattutini" che ho finora scritto per il nostro giornale. La sua brevità è causata dal fatto che si tratta di un proverbio popolare e il genere suppone appunto icasticità ed essenzialità. Il detto proviene da una cultura che ci è cara, quella armena. Ci è cara per il martirio subìto da questo popolo in un colossale massacro, purtroppo poco ricordato. A me cara perché tra gli amici ho uno dei maggiori esperti di questa lingua, il prof. Bolognesi, e il pastore della comunità armena di Milano, p. Sarkissian, e tra i conoscenti la nota scrittrice Antonia Arslan, autrice del bellissimo romanzo La masseria delle allodole (Rizzoli). Ho voluto evocare queste notizie di contorno per stimolare i lettori alla conoscenza di una cultura perseguitata ma capace di tener alta la fiaccola della speranza nella Provvidenza divina. L'uccellino accecato non riesce a cercare i fili d'erba per intessere il suo nido; sarà, allora, Dio stesso che gli preparerà un incavo in cui deporre le uova e allevare i piccoli. Anche nel Salterio si legge che Dio «provvede il cibo ai piccoli del corvo che gridano a lui» (147, 9). È questa fiducia che rende capaci certe persone di varcare sofferenze immani e devastanti, come è accaduto al popolo armeno il cui simbolo è il khackhar, una stele con la croce impressa. È il simbolo del Cristo crocifisso che soffre e ha paura ma che consegna il suo spirito nelle mani del Padre. Noi, che spesso ci abbattiamo al primo ostacolo
e per ogni piccola prova, dovremmo riscoprire il coraggio della speranza, la serenità dell'uccello cieco che sa di non essere dimenticato.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: