sabato 14 settembre 2002
Ormai, l'ospedale è il tempio/ in cui mi dai appuntamento./ Lì, so che mi aspetti, e io ho soltanto/ da lasciarmi amare"/ So che lì è oggi il luogo privilegiato/ in cui Tu mi attendi, con il Tuo Amore. Dedico questo "Mattutino" a tutta quella folla di
persone che abitano negli ospedali, sia come degenti sia come curanti. Lo faccio attraverso la testimonianza di una di loro, malata di cancro con metastasi ossea, una belga vissuta per anni a Pavia come docente in quell'università, Bernadette Béarez Caravaggi, testimonianza presente nel suo libretto Dalla soglia della sofferenza (ed. Servitium). In essa brilla l'intuizione che l'ospedale possa trasformarsi in un tempio in cui Dio si rivela e ci attende. Attende il malato per un'esperienza misteriosa che può diventare esaltante e liberante. Un'esperienza ardua
che può avere anche un approdo estremo, vissuto però senza disperazione ma con fiducia: «E' nata insieme a me/ e cresce con me,/ mi segue ovunque,/ fedele come un'ombra./ Talvolta l'intravedo/ e sento la sua presenza/ tanto vicina, che mi sfiora./ Mi è familiare: è mia sorella,/ è la morte». Ma l'ospedale è un tempio anche per medici e infermieri: dovrebbe, infatti, essere per loro il luogo dell'amore, della consolazione, della speranza che essi seminano nel corpo e nel cuore dei pazienti. Certo, l'oscurità del dolore può essere un inferno, ma è sempre possibile farvi sbocciare un fiore di luce e piantarvi la croce di Cristo.
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