martedì 9 luglio 2013
«L'essere umano non è un albero. .Un essere umano non è una quercia... Dio ha dato all'uomo gambe e piedi affinché vada sulla terra, che è sua». È una citazione di Joseph Roth, ripresa decenni dopo da George Steiner, a cui l'avevo sempre attribuita. Invece, lo aveva detto già Roth nel 1934, in polemica con il sionismo da una parte e dall'altra con il nazionalismo, che aveva appena dato il suo frutto più pericoloso con l'avvento di Hitler al potere. La ricerca delle radici di cui tanto si è favoleggiato a partire dagli anni Settanta sarebbe allora solo un aspetto regressivo dell'io? Chi aspira alle radici rinuncia alle gambe e paventa di errare? Non ci sono radici da riscoprire, allora, a meno che non servano per prendere una pausa, un respiro, per poi ricominciare a muoversi e a vagare? La metafora dell'albero e delle gambe fa parte di una visione cosmopolita e aperta che fu di Roth, nonostante la sua nostalgia del passato, come è oggi di Steiner. È così che l'ebreo errante, simbolo nella tradizione antigiudaica della colpa e dell'espiazione, diventa nella modernità la metafora della condizione dell'ebreo, sempre in movimento, sempre sul confine, a sua volta allegorica di una più generale condizione dell'essere nella modernità.
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