L'affascinante e spirituale polifonia alla corte francese di re Luigi XIV
domenica 25 ottobre 2009
Era tutta un unico, sontuoso rituale la vita quotidiana alla corte di Luigi XIV di Francia; al centro c'era lui, il monarca illuminato, e intorno si muovevano centinaia di pedine di un cerimoniale sfarzoso che, dal lever al coucher, scandiva le ore della sua giornata.
Il Re Sole credeva soprattutto nell'affermazione del potere attraverso la forza magnetica dell'arte e, in particolare, nella musica trovava contemporaneamente uno dei suoi maggiori strumenti di legittimazione e l'adeguata colonna sonora per accompagnare senza sosta la grandiosa mise en scène intorno alla quale si andava rafforzando un vero e proprio culto della persona: a celebrare la centralità assoluta di un sovrano che non disdegnava di regolare e "indirizzare" anche le scelte stilistiche e liturgiche del repertorio sacro.
Non è dunque un caso che tra il 1684 e il 1686 l'editore Ballard abbia pubblicato ben tre raccolte di Mottetti concepiti per accompagnare la Messe basse solennelle che tutte le mattine, alle dieci in punto, veniva officiata presso la Chapelle Royale della reggia di Versailles, dichiarandole stampate «su espresso ordine di Sua Maestà»: all'interno di tali edizioni, affiancate a quelle del prediletto Lully, si distinguono per numero e importanza le opere del sous-maître Pierre Robert (ca. 1625-1699). Una significativa selezione dei suoi Grand Motets " forma musicale ritenuta all'epoca «assai figurata e arricchita di tutto ciò che vi è di più raffinato nell'arte della composizione» " è stata recentemente incisa dai "compatrioti" dell'ensemble corale Les Pages & Les Chantres e del gruppo strumentale Musica Florea guidati da Olivier Schneebeli (cd pubblicato da K617 e distribuito da Ducale).
Un'esecuzione attenta e di assoluto nitore nel restituire intatto l'esemplare equilibrio e l'estrema varietà dei lavori di Robert, caratterizzati da una scrittura a otto parti e dalla continua alternanza di episodi solistici, corali e concertanti: tra l'intima cifra patetica del De Profundis e la potenza espressiva del Quare fremuerunt gentes, la solenne teatralità del Te decet hymnus e l'esuberanza ritmica del Nisi Dominus, a testimonianza dell'esiguo confine che, alla corte del Re Sole, separava la dimensione spirituale da quella temporale.
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