Il vescovo che combatte la vera caccia alle streghe
martedì 12 marzo 2024
Si faceva chiamare don Giustino quando era studente a Roma una decina di anni fa. Con lo stesso nome è rintracciabile in Facebook ora che è vescovo ausiliare di Wabag, nella provincia di Enga, una delle più remote ma anche più caratteristiche della Papua Nuova Guinea. Fiumi e montagne, ai tropici, ma con il termometro che può scendere sotto lo zero sui rilievi più alti, terra fertile e generosa, miniere d’oro, ma meno di un secolo fa ancora uomini e donne isolati dal resto del mondo. Gente dall’intelligenza vivace e la più alta percentuale di universitari nel Paese, ma ancora con grandi sacche di analfabetismo e ignoranza tra i villaggi fuori mano. Don Giustino, da tre anni Monsignor Justin Ain, è preoccupato di questo ritardo educativo. Lo ritiene la causa di ogni pregiudizio, arretratezza e incomprensione. La gente cerca la spiegazione di ogni cosa. E quando si tratta della malasorte, della malattia e della morte il risultato è devastante. Lo è perché, nel loro modo di vedere, si tratta di fenomeni non provocati da qualcosa, i freni rotti in caso di incidente o un batterio in caso di malattia, ma da una persona se è per la perdita della salute e della vita. Qualcuno deve essere identificato e punito. Ucciso. A volte un presunto stregone, ma molto più frequentemente una o più streghe arbitrariamente additate. Anche nelle aree più remote la gente oggi filma tutto e mette in rete. I video orripilanti di sevizie ed esecuzioni di donne denudate e bruciate sono il risultato di un processo che assomma l’ignoranza e la presunzione ancestrale alla moderna brama di denaro. Ci sarà sempre chi per soldi e magari atteggiandosi a santone riesce a farsi credere capace di identificare i “colpevoli” di una disgrazia. Lui soddisfa l’ansia di sapere e di vendetta. Loro lo pagano. Tutti credono che la stregoneria e il suo potere sia reale. Persino figli e mariti finiscono con l’accettare che madri e spose abbiano fatto qualcosa di male e meritino un’orribile sorte. Una recente inchiesta parlamentare ha rivelato che almeno 400 persone ogni anno vengono accusate di stregoneria in Papua Nuova Guinea, 65 vengono uccise, 86 rimangono disabili, 141 soffrono pesanti conseguenze fisiche. Si tratta naturalmente dei casi noti e registrati dalle autorità. «Molti di più - dice il vescovo di Kundiawa, pure attivo come il collega Justin Ain su questo fronte - avvengono nei villaggi remoti, di notte, i morti sepolti in luoghi anonimi, gettati nei fiumi o addirittura nelle latrine». «Ci siamo sempre occupati delle vittime – ha detto recentemente monsignor Ain – curando le ferite e le menomazioni subite dalle donne, tenendole in luoghi protetti, cercando di reinserirle nei villaggi quando la gente aveva compreso l’errore e consentiva loro di tornare. Poi abbiamo capito che per risolvere il problema dobbiamo rivolgerci agli autori stessi delle violenze». Da due anni quindi la strategia è cambiata. All’ignoranza ancestrale, si è aggiunta la difficile condizione giovanile: poca scuola, ma anche poco lavoro, scarsa coesione sociale, alcol e droghe leggere; un supplemento di aggressività fuori controllo. «Nonostante tutto da due anni da noi gli attacchi alle donne sono diminuiti», dice il vescovo Justin. È frutto della nuova strategia. Gruppi di volontari dalla diocesi e dalla Caritas battono sistematicamente i villaggi fornendo alla gente informazioni base di medicina, organizzazione sociale e statale, responsabilità etica, parità di genere... «Promuoviamo anche progetti generatori di reddito per i giovani – aggiunge il vescovo anti-stregoneria – perché il grande pericolo per il futuro viene dalla loro frustrazione. Ma contiamo di vincere sul tempo e, visto che forse abbiamo trovato il rimedio, di sradicare questo tipo di violenza dalla provincia di Enga entro il 2027». © riproduzione riservata
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