giovedì 31 ottobre 2002
Il sillogismo imparato sulla Logica di Kiezewetter «Caio è un uomo, gli uomini sono mortali, dunque Caio è mortale» gli era parso inconfutabile finché era applicato a Caio, ma non certo se applicato a lui stesso. Che Caio - uomo astratto - fosse mortale, era perfettamente esatto; ma lui non era Caio, non era un uomo astratto, ma una creatura assolutamente diversa da tutte le altre. «Ivan Ilic capiva che stava morendo, ed era in uno stato di continua disperazione. Nel profondo del suo cuore sapeva di stare morendo, ma non solo non era abituato al pensiero, semplicemente non arrivava a farlo suo». Queste righe sono la cornice del brano da noi sopra desunto da uno degli scritti più alti di Tolstoj, La morte di Ivan Il'ic (1887-89). L'abbiamo voluto evocare (e suggeriamo la lettura integrale di questo racconto lungo) così da riproporre per i prossimi giorni, tradizionalmente dedicati alla memoria dei defunti, un tema che di solito è esorcizzato. Come Ivan, anche noi parliamo, magari con compunzione e rispetto, della morte altrui, ma cerchiamo accuratamente di evitare di pensare alla nostra morte, a quegli istanti estremi che forse per alcuni di noi sono più vicini di quanto immaginiamo. Quante volte anch'io ho parlato, scritto, predicato nello stile del "sillogismo di Caio". In questi giorni bisognerebbe, allora, aver il coraggio di pensare alla propria morte: sarebbe pur sempre una lezione di vita. «In tutte le tue opere ricordati della tua fine - ammoniva il Siracide (7, 36) - e non cadrai mai nel peccato».
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