Il più antico epico pareggio e quello eroico di Gimbo
mercoledì 1 giugno 2022
La più antica cronaca sportiva di cui abbiamo traccia è nel libro XXIII dell'Iliade. Si tratta della dettagliata descrizione degli agoni sportivi che Achille organizza in memoria di Patroclo. Per onorare l'amico ucciso da Ettore e per trasformare il dolore straziante di quel lutto in energia, forza, vigore, Achille fa sedere i suoi uomini in cerchio e organizza una corsa con i carri, un combattimento di pugilato, uno di lotta, gare di corsa, di getto del peso, di tiro con l'arco e lancio del giavellotto. Una parentesi sportiva, una sorta di profondo respiro che fa dimenticare l'orrore della guerra, la nostalgia per i compagni caduti sul campo, le atrocità del conflitto.
Achille organizza quei giochi mettendo in palio lance, corazze, spade, cavalli e alcune donne destinate a diventare serve. Il livello di competizione è altissimo, perché ogni greco, come sostiene il filosofo Friedrich Nietzsche in un breve saggio che si intitola "L'agone omerico", è quasi ossessionato dall'idea di prevalere sui suoi avversari: «Essere sempre il primo e il migliore di tutti!», così Peleo aveva esortato il figlio Achille a partecipare alla spedizione contro Troia. L'agone greco per Nietzsche è una fiamma che si nutre del confronto, della competizione e che ha un solo scopo: eccellere, vincere, essere il più bravo.
La parola greca agon rimanda allo scontro, ma in realtà non divide gli uomini; semmai li costringe alla relazione e al confronto, li accomuna nello stesso desiderio di competere. Uno dei significati di agon è riferito al luogo della competizione, lì dove atleti e spettatori si riuniscono, proprio come si fa nell'agorà. Nonostante vincere sia un imperativo, nella cronaca omerica dei Giochi dedicati a Patroclo c'è spazio per il primo episodio di pareggio della storia dello sport. La sfida fra Aiace Telamonio e Odisseo nella lotta termina pari: «Non insistete, non vi sfinite di pene: la vittoria è d'entrambi; premi uguali prendendo andate, ché possano gareggiare anche gli altri» scrive Omero nell'Iliade, affidando queste parole ad Achille.
Gianmarco “Gimbo” Tamberi proprio oggi compie trent'anni e a lui vogliamo dedicare questo piccolo omaggio, dopo le incredibili emozioni che lui ha regalato a noi, esattamente dieci mesi fa. Chissà se il nostro atleta azzurro e il suo amico-avversario Mutaz Essa Barshin hanno mai realizzato di essere stati i protagonisti del più epico pareggio della storia, dopo quello di Aiace Telemonio e Odisseo. Un pareggio che in realtà è una vittoria moltiplicata per due. Tamberi e Barshin, prima di quella medaglia d'oro a Tokyo, avevano condiviso tutto: il sogno di vincere, il grande dolore e lo smarrimento dell'infortunio e, infine, la gioia più grande.
Vincere non è (solo) il risultato finale, ma il diventare consapevoli dello sforzo, della fatica, del dolore necessario per arrivare al successo. D'altra parte, agon, oltre a indicare l'idea di “comunità”, ha la stessa radice che tiene insieme agonismo e agonia. Competizione e dolore (necessario). Confronto e fatica. Ce lo insegnavano gli eroi Greci, che lo hanno ricordato, lo scorso 1° agosto, due saltatori in alto. Ancora qualcuno convinto che lo sport non sia l'epica del ventunesimo secolo?
Auguri Gimbo, eroe epico moderno. Buon trentesimo compleanno.
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