sabato 28 gennaio 2006
Quello che mi fa capire se uno è passato attraverso il fuoco dell'amore divino non è il suo modo di parlare di Dio; è il suo modo di parlare delle cose terrene. Parliamo di Dio, della sua conoscenza e dell'adesione a lui nel giorno dedicato a un santo come Tommaso d'Aquino la cui ricerca, sostenuta da una straordinaria e possente intelligenza, seppe coniugare divinità e umanità, teologia e morale, fede e ragione, spirito e materia secondo una compattezza e un equilibrio maestosi. Lo facciamo, però, con le parole di una pensatrice vicina al nostro tempo, dotata di una sua originalità sia a livello teorico sia nella sua esperienza umana di donna, di ebrea, di affascinata dal mistero di Dio e dalla figura di Cristo. È Simone Weil
(1909-1943) che ci offre una sorta di cartina di tornasole del vero credente. Lo è soltanto colui che, pur essendo attratto dal gorgo di luce e dal fuoco d'amore di Dio, non si isola in un limbo dorato, ignorando il mondo e il prossimo. Attraverso quel transito nell'orizzonte divino non si accontenta di dire Dio in modo giusto e bello, ma lo irradia nelle realtà terrene che acquistano un valore e un rilievo nuovo e sorprendente. Bisogna, quindi, diffidare da chi sa solo parlare in modo raffinato e accurato di Dio, di chi si astrae in un cielo intatto e intangibile. La vera esperienza del «fuoco dell'amore divino» ti lega, invece, alle cose, ti inserisce nella storia, ti accosta agli altri; e tutte queste realtà sono come trasfigurate, acquistano un aspetto inedito; le azioni, anche le più semplici, e le parole, anche le più scontate, ottengono una qualità nuova e appassionata. Questo è l'autentico effetto del vero incontro con Dio.
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