sabato 31 marzo 2007
È risaputo che il Diavolo non fa coperchi; e dunque il Signore dal cielo vedeva benissimo i pensieri velenosi che ribollivano nella scoperchiata e nera pignatta dell'anima mia. Questo io temevo e, nel buio della notte, rabbrividendo mi raffiguravo il giorno del Giudizio Universale. Personalmente la considero una grande scrittrice del Novecento: su Elsa Morante (1912-85) sto ora leggendo una tesi di laurea che tratta della sua spiritualità. M'imbatto, così, nella citazione desunta da un suo racconto che non conosco, intitolato Fioretti: la propongo con un taglio particolare, legato al tempo quaresimale che stiamo ora vivendo, se cristiani fedeli. Certo, la finale riflette un modello catechetico e pedagogico del passato, segnato dalla paura del giudizio divino. Un modello che abbiamo accantonato e relegato nella soffitta della religione forse un po' troppo in fretta. Lo riprendiamo nel suo significato più vero non certo per rispolverarlo sic et simpliciter, ma per capire il senso della prima parte della considerazione della Morante. Se siamo sinceri con noi stessi, il nostro cervello e il nostro cuore sono proprio quella «nera pignatta» ove ribollono pensieri e desideri di odio, di impurità, di invidia, di malizia e così via. All'opera c'è il gran cuoco, Satana, che cucina le sue perversioni proprio in quella pentola. Ma per fortuna - dovremmo dire - non conosce l'uso dei coperchi. E così, sia la nostra coscienza col suo monito interiore sia Dio con la sua parola severa ci costringono a guardar dentro quel turbinio di passioni e di colpe. Ma - e qui è la variante che introduciamo noi - non è per la disperazione che ciò avviene perché, diceva Pascal, «i tuoi peccati ti saranno rivelati nel momento stesso in cui ti saranno perdonati».
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