domenica 15 settembre 2002
Il credente: Io sono un credente, signore, afflitto dal dubbio che Dio non esista. L'ateo: Io, peggio. Sono un ateo, signore, afflitto dal dubbio che Dio, invece, esista realmente. E' terribile. Ormai è dimenticato, ma Achille Campanile (1900-1977) ebbe a suo tempo successo per il suo umorismo paradossale. Dalle sue Tragedie in due battute ho tratto questo dialogo tra un credente e un ateo: alla fine, molto più coinvolto nella questione dell'esistenza di Dio è l'ateo, sia pure per l'implicito sospetto dell'inesorabile giudizio divino. Prendo spunto da questo mini-dialogo per un esame di coscienza. Oggi è domenica e, se dovessimo scavare in fondo all'anima di molti cristiani, non sarebbe azzardato ipotizzare che per non pochi di loro Dio è una presenza da sfondo, quasi come un arredo dell'anima. E' là, relegato nel suo mondo sacro; lo si interpella in caso di grave necessità; gli si versa il tributo d'una Messa domenicale e di qualche preghiera; lo si rispetta per quel sano timore istillato dai genitori fin dall'infanzia. La fede autentica, però, come ci insegna la Bibbia è ben altro. Diciamolo pure: è qualcosa persino di drammatico, è una pace raggiunta però attraverso la lotta, come ci insegna Abramo che sale il monte Moria o Giacobbe che combatte nella notte lungo il fiume Jabbok. Cristo è venuto a scuotere le coscienze, a portare il fuoco e la spada. Ai suoi discepoli ha chiesto di essere sale e luce, di vigilare nella notte, di donarsi in totalità e senza calcoli. E' la tiepidezza il grande rischio, come ammonisce l'Apocalisse alla comunità cristiana di Laodicea (3, 14-19).
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