martedì 6 aprile 2004
Nell'acqua di uno stagno si specchia il cielo. Ma se vi getti un sasso, l'immagine si romperà in cerchi concentrici e il cielo sparirà. Han Fei, morto nel 233 a.C., era un filosofo del diritto che però costellava i suoi scritti con aneddoti, aforismi, apologhi tanto da renderli un gioiello dell'antica letteratura cinese. Ho conosciuto questa figura molti anni fa mentre ero in visita in Cina e, alla sera, leggevo La letteratura cinese di Giuliano Bertuccioli (ed. Sansoni/Accademia). Di questo autore scopro oggi, in un articolo, la considerazione suggestiva sopra citata. Mi viene spontaneo accostarla a una battuta del nostro poeta Eugenio Montale: «L'uomo di oggi guarda, ma non contempla, vede ma non pensa». Se ci si mette davanti a uno stagno durante una gita in campagna, è forte la tentazione di gettarvi un sasso per infrangere quell'immobilità. E così quello specchio mirabile, che ci rendeva disponibile il cielo col suo splendore, i suoi colori, i giochi delle nubi e il senso dell'infinito, cade in frantumi e noi ci fermiamo a guardare il movimento delle onde e il fuggire dei girini e l'agitarsi delle foglie galleggianti. Siamo, nella vita, molto attenti a tutto ciò che fa rumore e scompiglia, alle realtà più immediate e provocatorie. Non sappiamo né contemplare né pensare, né approfondire né entrare nel segreto delle cose. Anzi, come lo stagno riflette e rimanda al cielo, così molte realtà o eventi ci spingerebbero verso l'Alto, l'Altro, l'Oltre, ossia verso il mistero e il trascendente, verso il divino. Per questo, piuttosto che scagliare un sasso per far fracasso o per sconvolgere, scopriamo il linguaggio segreto del mondo e della vita.
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