Il blog dell'arcivescovo conferma: il Sinodo è strada da fare insieme
domenica 25 ottobre 2015
Ho già sottolineato qui in quale misura la Rete abbia offerto una sponda tecnica ai desideri dell'episcopato mondiale che, da anni, chiedeva alla Santa Sede di provare a calibrare diversamente il rapporto tra assemblee sinodali e media. In effetti, contrariamente alla maggior parte dei Sinodi celebrati prima, in questo che si conclude oggi le interviste di singoli padri sinodali o la divulgazione degli interventi pronunciati in plenaria non è stata proibita né scoraggiata (ne ha parlato anche Francesco Peloso su Vatican Insider http://tinyurl.com/q9rsua7). La “res nova” di Internet ha fatto il resto, permettendoci di conoscere dettagliatamente il punto di vista di almeno un sinodale su tre.Caso speciale di questo modo di portare la Chiesa nel Sinodo è il blog che l'arcivescovo di Brisbane (Australia), Mark Coleridge, ha condotto quotidianamente sul sito diocesano (http://tinyurl.com/pgjle37), intitolandolo appunto “Sulla strada insieme”. Insieme: io e gli altri padri sinodali, ma anche: io e voi miei figli nella Chiesa di Brisbane.Chi ha seguito il lavoro degli storici, di qualsiasi “scuola”, sul Concilio Vaticano II sa quanto esso si sia giovato dei diari di alcuni padri e periti, che però erano privati, perlomeno nel momento in cui venivano redatti. Ecco che con la Rete il diario del Sinodo di mons. Coleridge (“blog” viene da web+log, cioè rete+diario) si fa pubblico. Gli ha dedicato per ultimo un bel pezzo David Gibson del “Religion News Service” (http://tinyurl.com/oj8a4rd), ma se si mastica un po' d'inglese ci si diverte di più ad andare direttamente a spulciare queste quotidiane pagine di Sinodo vissuto, dove le cose serie sono intercalate da cardinali che si assentano dai lavori per portare a tutti un gelato o da critiche al comfort delle postazioni digitali. Con una consapevolezza che vorrei diventasse un comandamento: «Più aumentano le persone che mi leggono, più è probabile che faccia qualche sbaglio; motivo per cui ora ci penso due volte prima di scrivere».
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