domenica 24 gennaio 2021
Ci sono, oggi, papà molto diversi che nel passato: sono papà affettivi e affettuosi, spesso capaci di interagire con semplicità e competenza anche con i loro piccoli appena nati, e capaci di accompagnarli nella crescita con una presenza vera. Eppure, mano a mano che crescono, i bambini continuano come nel passato ad aspettarsi da mamma e papà cose diverse, e costruiscono con loro un legame differente: anche se amano entrambi i loro genitori, il legame con la mamma è sempre improntato a una maggiore vicinanza fisica e a una maggiore confidenza.
Questa differenza è più evidente nel rapporto con le figlie femmine, ma anche i figli maschi, crescendo, mettono il padre in una posizione di maggiore distanza e minore intimità. Molti papà ne soffrono, si sentono ingiustamente tenuti ai margini nella vita di questi figli molto amati e si domandano se hanno sbagliato qualcosa: perché non possono godere della stessa prossimità spontanea riservata alla moglie? E perché questo avviene anche quando nella coppia è proprio il papà a essere il più affettivo tra i due genitori?
Il fatto è che per crescere bene i figli hanno davvero bisogno dell'uno e dell'altra: di due relazioni, di due esperienze, di due codici di accesso al mondo. La madre, con il suo legame biologico primario con il figlio, rappresenta la relazione di prossimità: niente è più prossimo di quell'essere dentro al suo corpo, contenuti e protetti, sintonizzati sul battito del suo cuore e sul ritmo del suo respiro. Anche quando il piacere di crescere spinge lontano, la madre rappresenta il luogo della vicinanza desiderata: se il rapporto è buono, confidarsi con lei è più facile; se il rapporto è cattivo, il vuoto di quella mancata confidenza non può essere facilmente riempito. Il padre, che accoglie il figlio dalla donna che ama e lo nomina suo erede, è invece la relazione dell'“altrove”: il suo compito è ingrato, perché deve farsi spazio nel mondo del figlio come colui che interrompe la simbiosi con la madre; è colui che la pretende (secondo il bambino ingiustamente) in primo luogo per sé. La madre è la moglie del papà prima di essere la mamma del bambino: tenere fermo questo punto significa mettere il figlio in una posizione sana, ma vuol dire anche accettare una prima distanza, tollerare la prima incomprensione e lasciarsi considerare come colui che ferisce.
Il padre è per il figlio “colui che non capisce”: colui che è segnato dall'alterità. Non è facile accettarlo, soprattutto per i bellissimi papà di oggi, che faticano come le mamme a sopportare che i figli si sentano feriti, e che soffrono di venire considerati ingiustamente la causa di qualche fatica o dolore. I papà di oggi soffrono le incomprensioni dei figli più che nel passato, perché la loro posizione è più accudente e materna, e perché più che nel passato sono a contatto con la propria affettività.
Ma il valore prezioso del padre sta proprio in questa diversa regolazione della distanza, perché è questa non-comprensione (percepita dal figlio, anche se non necessariamente reale) che lascia lo spazio necessario per lo sviluppo autonomo della personalità dei figli, li spinge a uscire dal comfort della comprensione materna, li lascia liberi.
Il padre è più che la madre capace di rispettare la privatezza del loro spazio, dei loro pensieri, dei loro progetti, e questo incoraggia un modo di essere, pensare e agire davvero personali. L'amore del padre non prevede simbiosi: il rapporto con il figlio deve passare anche dalla contrapposizione e dal conflitto.
Il vero coraggio, quello per cui dobbiamo avere rispetto per ogni papà indipendentemente dalle doti che riesce a esprimere, sta nel fatto stesso di aver aperto il cuore alla vita e di voler fare il padre della creatura che ha generato; di essere disponibile a prendere quel bambino sotto la sua responsabilità tollerando le incomprensioni, per fare di lui il suo erede: di essere disponibile a fare per lui tutto quello che può e che sa per accompagnarlo a diventare un uomo.
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