Grande fardello Balotelli. Mario, vada a lezione da Rashford
domenica 1 novembre 2020
«Why always me?» Già, «Perché sempre a me?» chiedeva un tenero e ancora quasi indifeso Mario Balotelli quando ventenne al Manchester City veniva insultato dai tifosi avversari. Come in Italia per questioni di razzismo allora era il bersaglio mobile «number one» per il semplice fatto che si trattava di una stella luminosa, e prometteva qualcosa di più della meteora milionaria che è diventato a trent'anni, molto suonati. Liliana Segre insegna che bisogna eliminare le «parole dell'odio», ma vanno fermate anche quelle frasi stupide da tempo di «banane e tamponi». In questa bolla universale in cui ondeggiamo, bisognerebbe seguire, tutti, l'insegnamento della scrittrice Susanna Tamaro che invita i governanti e gli scienziati (gli “addetti ai livori” più che ai lavori) a pronunciare «poche parole, ma giuste». Un grande bracconiere di storie di cuoio lo scrittore uruguagio Eduardo Galeano poneva come sua regola fondamentale «usare soltanto parole che migliorino il silenzio». Comandamento che d'ora in poi l'ex enfant prodige Balotelli dovrebbe recitare come un rosario, tutti i santi giorni. La sua ultima apparizione televisiva va rubricata alla voce “Grande fardello”. Marione con il suo classico modo di fare, da bullo bullizzato, è entrato nella casa del “Grande Fratello Vip” (programma da estasi del pecoreccio direbbe il compianto Tomaso Labranca) per fare un assist vincente al fratello e collega Enock (ultima stagione da calciatore al Caravaggio) ma il tentativo goffissimo si è trasformato nel peggiore autogol “machista”. Una settimana fa Aguero, per un ingenuo abbraccio a una guardalinee della Premier è stato bollato di sessismo, Marione per una frase da caserma (irripetibile) all'indirizzo della signorina Dayenne Mello – professione: “ex fidanzata” – ha perso un'altra buona occasione per smentire il sociologo americano Gerry Lenski per i quale «l'aspettativa sociale è che un campione sportivo non sia colto». Qui non si tratta di cultura, ma dell'abc dell'educazione. Da lassù, l'amico sociologo Mauro Valeri – fondatore dell'Osservatorio sul razzismo e l'antirazzismo nel calcio – è testimone di quante volte ci siamo battuti per il bene di Marione. Valeri alla vigilia di Brasile 2014, quelli che dovevano essere i Mondiali della consacrazione di “Super Mario” scrisse il pamphlet (difensivo) Mario Balotelli vincitore nel pallone (Fazi) che a rileggerlo adesso suscita solo rimpianti e sconfitte. Il pianeta calcio, per fortuna, non è abitato soltanto dai Balotelli. E non è certo un marziano, l'ex “capitan futuro” della Roma, Daniele De Rossi che partecipa su La7 al talk politico di “Zoro” Bianchi, Propaganda Live e disquisisce alla pari e a tutto campo con l'onnipresente Marco Damilano. Balotelli impari da De Rossi e dal suo fratello colored Marcus Rashford, 22enne attaccante del Manchester United. Il “piano Rashford” è riuscito a convincere il governo britannico a investire 120 milioni di sterline in buoni pasto a tutti i bambini durante il periodo della pandemia e a supportare quasi un milione e mezzo di studenti, il 15% della popolazione scolastica britannica. A dimostrazione che il calcio può fare scuola, e anche cultura.
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