Roberto Formigoni che entra in chiesa e s’inginocchia in preghiera. E poi a casa, in pantofole, in bagno con i bermuda, a tavola da solo mentre sbuccia una mela…. Sono immagini ben lontane da quelle del governatore della Lombardia sullo yacht del faccendiere Pierangelo Daccò o in giro per Milano con una vistosa giacca arancione. Quel Formigoni potente politico, campione di preferenze, parlamentare europeo e italiano, quattro volte presidente di regione Lombardia, amante della bella vita, non esiste più. Anche se quello emaciato attuale, condannato per corruzione, non rinnega niente del suo passato. Ammette gli errori, ma solo quelli personali («I peccati, che però non sono un reato»). Sul fronte politico riconosce un solo sbaglio: «Avere accettato la candidatura di Nicole Minetti in Consiglio regionale». Si compiace persino di quel soprannome, Il Celeste, che i benevoli gli affibbiarono per la sua fede in Dio e i malevoli continuarono a chiamarlo così perché ritenevano che lui stesso si considerasse un dio. Il Celeste è anche il titolo dell’interessante documentario andato in onda ieri sera su Nove (scritto da Carmen Vogani con Danilo Chirico, Marco Carta e Lorenzo Avola), che racconta ascesa e caduta di uno dei protagonisti nel bene e nel male della storia politica italiana degli ultimi quarant’anni con una lunga intervista allo stesso Formigoni e le testimonianze di amici e oppositori, anche loro ribattezzati con un soprannome: il Tele-lombardo (David Parenzo), l’Eminenza grigia (Paolo Sciumè), il Ficcanaso (Ferruccio Pinotti), la Governatrice della tv (Simona Ventura), l’Oppositore (Giuseppe Civati) e così via. Ne viene fuori giustamente un Formigoni tra luci e ombre a conferma di un lavoro da parte di Vogani e colleghi televisivamente valido e onesto, che non assolve né condanna.
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