martedì 5 giugno 2007
Qual è il primo dovere dell'uomo? La risposta è breve: essere se stesso. Quando si cominciava a fare i primi passi nella cultura classica, ci si ricordava la celebre scritta greca sul tempio di Delfi: gnóthi seautón, «conosci te stesso!». Monito sempre valido, soprattutto ai nostri giorni in cui la superficialità impedisce ogni scavo nella coscienza. Ma il conoscere non basta, bisogna anche essere se stessi, come insegna nella nostra odierna citazione il celebre drammaturgo norvegese Henryk Ibsen nel suo dramma Peer Gynt (1867). In quell'opera il consiglio ha, però, un esito sorprendente: il protagonista è, infatti, un giovanotto spaccone che vive seguendo i suoi impulsi immediati e la sua fantasia, andando così a finire in un mondo irreale. Certo, questo è un rischio su cui bisogna rimanere sempre in guardia; dobbiamo sorvegliare e guidare il moto delle passioni, la pulsione dei sentimenti, i fremiti del temperamento. Ma compiuta questa auto-educazione, è necessario ricordare sempre la parabola evangelica dei talenti. Ognuno di noi, in gradazioni differenti, possiede un dono che dev'essere impiegato, ha capacità che devono essere esercitate, ha doti che devono fruttificare. Nella storia, sia per inerzia personale sia per condizionamenti sociali, si assiste a uno spreco immenso di risorse umane. Esse rimangono congelate e inutili, mentre potrebbero trasformare vaste aree del mondo e della vita di molti. Ecco, allora, in queste righe di Ibsen un appello all'impegno personale ma anche alla sincerità: essere se stessi, infatti, vuol dire coerenza, consapevolezza dei propri limiti. Finisco con una battuta ironica, dei noti cartoni B.C. di Johnny Hart: «Conoscere se stessi è la cosa più importante per l'uomo. Tu però lascia stare: potresti avere una brutta sorpresa!».
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