mercoledì 5 febbraio 2003
Nessuno può, per un periodo che non sia brevissimo, "portare" una faccia da mostrare a se stesso e un'altra da mostrare alla folla, senza alla fine trovarsi nella condizione di non capire più quale possa essere la vera.
A distanza di tanti anni ritrovo un romanzo che avevo acquistato durante un lungo viaggio negli Stati Uniti, forse per esercitarmi in inglese. È un pocket ingiallito e ha qua e là qualche sottolineatura. Non avrei mai pensato che una di quelle righe mi sarebbe servita oggi. Ho, infatti, sopra citato un passo del celebre romanzo La lettera scarlatta, capolavoro di Nathaniel Hawthorne (1804-1864), severo atto di accusa contro l'ipocrisia perbenista della Boston puritana. La "lettera scarlatta" è la A di "Adultera" che la protagonista deve portare sul petto per testimoniare a tutti la colpa di aver avuto una bambina da un amore illegittimo. Hawthorne, nella frase che ho tradotto, ci ammonisce che l'inganno potrà tenere per un certo tempo ma, prima o poi, emergerà la verità intima di ciascuno. Nel romanzo il vero colpevole è un giovane
pastore protestante
che è troppo orgoglioso e stimato per accusarsi. Egli mostra alla folla la faccia perbene che lo fa ammirare e lo rende fin vanitoso. Ma alla fine sarà costretto a svelare il suo vero volto di uomo peccatore e debole: confesserà, allora, la sua colpa nei confronti di quella donna e morirà, stroncato dall'emozione. Un po' tutti abbiamo segreti intimi e un po' tutti siamo dotati di due facce, la pubblica e quella autentica e interiore. Prima o poi, la verità verrà a galla ed è per questo che è necessario lottare ogni giorno per la coerenza e per la sincerità.
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