domenica 1 giugno 2003
Non mancherà mai lo spazio a chi corre verso il
Signore. Chi ascende non si ferma mai, va da inizio in inizio, secondo inizi che non finiscono mai. Oggi, giorno dell'Ascensione del Signore, mi sembra adatto proporre ai lettori queste poche righe di un grande Padre della Chiesa di Cappadocia (nell'attuale Turchia centrale: chi c'è stato non dimentica i mirabili "camini delle fate" o le stupende chiese rupestri). Il suo nome era Gregorio e fu detto di Nissa per la sede che egli occupò come vescovo. Era fratello minore di un altro grande, san Basilio, e come lui era nato a Cesarea (attorno al 335) ed era divenuto un intenso e acuto scrittore cristiano. Prendendo proprio lo spunto dall'ascesa verso l'infinito e l'eterno della divinità che Cristo compie nella sua risurrezione, dopo essere stato in mezzo a noi, costretto nelle maglie del tempo e dello spazio, Gregorio delinea il destino aperto davanti all'umanità. Anche la nostra è un'ascensione verso l'Oltre e l'Altro divino. Ogni nostro passo non è una meta ma un inizio per un altro percorso, da inizio in inizio, di luce in luce, senza che mai ci sia una stasi, una stanchezza, una noia. Questa è la vita eterna: non una fissità inerte, ma una scoperta "in-finita" dell'Infinito di Dio, in meraviglie sempre nuove. Ma per condurci verso l'Alto non bastano le nostre energie, il nostro impacciato innalzarci simile a un saltello. È necessaria la grazia, dono divino. Lo diceva splendidamente una scrittrice ebrea francese molto vicina al cristianesimo, Simone Weil: «Noi non possiamo fare nemmeno un passo verso il cielo: la direzione verticale ci è preclusa. Ma se contempliamo a lungo il cielo, Dio discende e ci rapisce».
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