giovedì 13 ottobre 2011
XXIX Domenica
Tempo ordinario - Anno A

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità.(...). Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Alla domanda cattiva e astuta di chi vuole metterlo o contro Roma o contro la sua gente, Gesù risponde giocando al rialzo, come al suo solito, e con due cambi di prospettiva che allargano gli orizzonti della domanda.
Con il primo cambio di prospettiva muta il verbo pagare (è lecito pagare le tasse?) in restituire: quello che è di Cesare rendetelo a Cesare. Con il secondo cambio introduce l'orizzonte di Dio. Innanzitutto parla di un dare e avere: voi usate questa moneta, usate cioè dello stato romano che vi garantisce strade, giustizia, sicurezza, mercati. Avete ricevuto e ora restituite. Pagate tutti le tasse per un servizio che tocca tutti. Come non applicare questa chiarezza semplice di Gesù ai nostri giorni, in cui la crisi economica porta con sé un dibattito su manovre, tasse, evasione fiscale; applicarla ai farisei di oggi che giustificano in mille modi, quando addirittura non se ne vantino, l'evasione delle imposte.
«Restituisci, perché sei in debito». Io sono in debito verso genitori, amici, insegnanti, medici, verso la storia di questo paese, verso chi mi ha insegnato ad amare e a credere, mi ha trasmesso affetto e valori, verso i poeti e gli scienziati, i cercatori di Dio, verso milioni di lavoratori sconosciuti, verso l'intera mia società. Un tessuto di debiti è la mia vita, io ho avuto infinitamente di più di ciò che ho dato. Restituire a Cesare di cui mi fido poco? A Cesare che ruba? Sì, ma al modo di Gesù, lui che non guardava in faccia a nessuno, come riconoscono i farisei: allora, se Cesare sbaglia, il mio tributo sarà quello di correggerlo; e se ruba gli ricorderò la voce della coscienza e il dovere della giustizia.
Il secondo cambio di prospettiva inserisce la dimensione spirituale. Da Dio hai ricevuto, a Dio restituisci. Da Lui viene il respiro, il volere e l'operare, il gioire e l'amare, i talenti, il seme di eternità deposto in te, suo è il giardino del mondo. Davanti a Lui, come davanti all'uomo, non siamo dei pretendenti, ma dei debitori grati. Se avessimo tra le mani quella moneta romana capiremmo qualcosa d'altro. L'iscrizione recitava: divo Caesari, al divino Cesare appartiene. Gesù scinde di netto l'unità di queste due parole: Cesare non è Dio. Altro è Cesare, altro è Dio. Di Dio è l'uomo, quell'uomo che Lui ha fatto di poco inferiore a un dio. A Cesare le cose, a Dio la persona. A me dice: tu non inscrivere nel cuore altre appartenenze che non siano a Dio. Resta libero e ribelle ad ogni tentazione di venderti o di lasciarti possedere. Ripeti al potere: io non ti appartengo. Ad ogni potere umano Gesù dice: non appropriarti dell'uomo, non ti appartiene. L'uomo è cosa di Dio. È creatura che ha Dio nel sangue.
(Letture: Isaìa 45, 1.4-6; Salmo 95; 1 Tessalonicesi 1, 1-5b; Matteo 22, 15-21)
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