giovedì 3 aprile 2008
III Domenica di Pasqua
Anno A

(...) Due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme (...) Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?».(...) Uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni? (...) Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso» (...) Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (...)

Undici chilometri da Gerusalemme: Èmmaus è il simbolo della mia distanza dalla fede e dalla croce. Èmmaus è casa mia, quando sono tentato di tornare nel mio piccolo angolo, via dalla comunione con gli altri, chiuso, ferito; finito il sogno in cui tanto avevo sperato.
Due ore di cammino fatto insieme: e Cristo già si fa vicino, lo fa in ogni esperienza d'amicizia. Due ore a parlare di lui, ed è il secondo segno della sua «ardente presenza» (Rilke).
Non è più qui" hanno detto gli angeli. Egli è per le strade del mondo, rallenta i suoi passi al ritmo dei nostri, dentro la polvere delle nostre strade, quando sulla mia fede scende la sera. Ogni strada del mondo porta a Èmmaus.
Gesù si avvicinò e camminava con loro. Il Signore ci raggiunge nella nostra vicenda quotidiana di viandanti. E cambia il cuore, gli occhi e il cammino di ciascuno. Il primo miracolo è così dolce da non accorgersene subito, così necessario da entrare senza imporsi: mentre lo sconosciuto spiega le Scritture, il «cuore lento» inizia a riempirsi di un calore nuovo. Che cosa fa ardere il cuore? La scoperta è racchiusa in una sola parola: la croce. La croce è la gloria. Non un incidente, ma la pienezza dell'amore. Parola che seminata nel cuore, lo cambia. E cambia la comprensione dell'intera vita.
Resta con noi, perché si fa sera. Egli rimase con loro. Da allora Cristo entra sempre, se appena lo desidero. Il suo nome non è solo «io sono colui che è», ma diventa «io sono colui che è con te».
La parola ha cambiato il cuore, il pane cambia gli occhi dei discepoli: lo riconobbero allo spezzare del pane. Il segno di riconoscimento di Gesù, il suo stile unico, è il suo corpo spezzato e dato, vita data per nutrire la vita. Il cuore del Vangelo è spezzare anch'io per mio fratello il mio pane, o il tempo, o un vaso di profumo, e condividere con lui cammino, speranza e smarrimenti.
La parola e il pane insieme cambiano il cammino di ogni discepolo: partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme. Partire verso i fratelli, partire come se la notte non dovesse venire più, partire con il sole dentro. La fuga triste diventa corsa gioiosa: non c'è più notte, né stanchezza, né distanza, il cuore è acceso, gli occhi vedono. Non patiscono più la strada, la respirano, respirando Cristo, che è in cammino con ogni uomo in cammino.
(Letture: Atti 2,14.22-33; Salmo 15;1 Pietro 1,17-21; Luca 24,13-35)
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