sabato 23 settembre 2017
Pochi sanno, o ricordano, quanto papa Wojtyla amasse il circo, e in particolare i clown. Una passione semplice, viscerale, invincibile. A parte le tante occasioni di incontri “ufficiali”, e al di là delle bellissime parole pronunciate nei discorsi ufficiali, quasi ogni estate in agosto, quando si trovava a Castel Gandolfo, venivano organizzati espressamente per lui dei piccoli spettacoli nel cortile della residenza estiva, a cui assisteva divertito. No, dire “divertito” e fortemente riduttivo. Era molto di più, e in rete è possibile trovare qualche breve video di questi spettacoli, dove si vede Giovanni Paolo II ridere a crepapelle, senza riuscire a fermarsi. Letteralmente con le lacrime agli occhi per le grandi risate. Un vero amore bambino, il suo, per quel mondo, che forse neppure lui era capace di spiegarsi; al punto che, con il Papa già sul punto di morte, Joaquin Navarro Valls, il suo portavoce, arrivò a mettersi un naso rosso da clown per strappargli ancora un sorriso.
D'altra parte chi di noi non è mai stato affascinato, non si è almeno una volta incantato, davanti agli artisti del circo? O anche semplicemente davanti ai tanti artisti di strada, saltimbanchi, giocolieri, musicisti, che di quando in quando si incontrano sul cammino, o magari li si vanno apposta a cercare, tenendo i propri figli per mano, nei luoghi dove sai di poterli incontrare, come sono, a Roma, Piazza Navona o Santa Maria in Trastevere. E sembrano quasi personaggi fuori dal mondo, alieni precipitati sulla terra per quel loro essere lontani, sempre più, dal patinato mondo dello show business, e si accontentano del poco o poco più di niente che gli spettatori vorranno mettere nel loro cappello poggiato a terra.
Perché davvero non c'è niente da fare: «Una giostra – ha detto papa Francesco ricevendo, una settimana fa, gli artisti di strada – non finisce di meravigliare, genera una gioia dolce, nei piccoli e nei grandi. In effetti la vocazione della vita e del vostro lavoro è gioia». Una vocazione difficile, come rilevò nel 2012 Benedetto XVI ricevendo anche lui gli artisti di strada, sottolineando come «i vostri mestieri richiedono rinuncia e sacrifici, responsabilità e perseveranza, coraggio e generosità: virtù che la società odierna non sempre apprezza, ma che hanno contribuito a formare, nella vostra grande famiglia, intere generazioni».
Proprio a queste persone, che durante il Giubileo della misericordia definì «artigiani del bello», Papa Bergoglio ha riconosciuto come «la vita del lavoro itinerante non è una vita facile. Conosco i disagi che incontrate con le vostre famiglie, nel vostro continuo andare di luogo in luogo. Non scoraggiatevi, ma continuate il vostro cammino, perché le nostre città e i nostri paesi non perdano il gusto di questa peculiare bellezza attraverso la vostra presenza, la vostra arte, la vostra gioia». Perché il punto, alla fine, è proprio questo, è il punto di una «vocazione che diventa subito missione: la missione di offrire alla gente, ai bambini ma anche agli adulti e agli anziani, occasioni di divertimento sano, pulito. E dentro questa vocazione e missione, come può non esserci la mano di Dio? Dio ci ama e vuole che siamo felici. Dovunque c'è una gioia semplice, c'è la sua impronta. Perciò, se sapete conservare questi valori, questa genuinità e semplicità voi siete messaggeri della gioia che piace a Dio, e che viene da lui». Quella gioia che incantava il grande cuore bambino di papa Wojtyla, e che sempre oggi come ieri, e per sempre, sa rapire il cuore di chiunque, a sua volta, bambino voglia e sappia restare almeno un po'.
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