Così la fotografia digitale sta cambiando la nostra memoria
venerdì 31 agosto 2018

Non c'è vacanza senza foto. Non c'è ormai momento della vita senza foto. Non c'è ricordo, pensiamo, senza foto. Basta un cellulare per scattare, scattare e scattare. Secondo InfoTrend, nel 2017 abbiamo scattato 1,2 trilioni di foto. Cioè, 1.200 miliardi di fotografie. Immagini, ricordi, spicchi di vita. Socializzati in ogni modo e su ogni piattaforma o condivisi con amici e parenti anche solo via WhatsApp. Siamo diventati produttori compulsivi di foto e a nostra volta veniamo sommersi ogni giorno da immagini scattate dagli altri. Di ottima e di pessima qualità. Artistiche e banali. Indispensabili e inutili. C'è un aspetto di tutto questo che merita una riflessione. E cioè, aldilà di come produciamo foto e di quale qualità, quanto tutto questo sta cambiando il modo in cui ricordiamo e ricorderemo la nostra vita? Fateci caso. Non c'è giorno nel quale, per ragioni diverse, ognuno di noi non si ritrova a cercare una foto sul proprio smartphone. Se poi possedete Google Foto o Amazon Prime Photos, non c'è giorno nel quale questi servizi non vi ripropongano di rivivere i ricordi fotografici di una vostra giornata. Di un mese, di un anno o di anni fa.


È così comodo e facile scattare e archiviare foto, che ormai le usiamo anche come "appunti". Fotografiamo il numero del posteggio dove abbiamo lasciato l'auto nel parcheggio dell'ipermercato così da non dimenticarclo, l'etichetta di un vino che abbiamo apprezzato o l'insegna di un ristorante dove ci siamo trovati bene. E così via.
Sempre più raramente le nostre foto vengono stampate, diventando album cartacei e facendoci così rivivere quei momenti di quando da ragazzi sfogliavamo i ricordi di famiglia. Allora sembravano non esistere foto sbagliate o inutili. Tutto era prezioso. Tutto era un tassello che generava ricordi e faceva rivivere storie importanti. Fare foto non era semplice. E stamparle costava. Non ne venivano sprecate. E quando accadeva, il dispiacere era grande.
Così, tutto diventava «memoria importante». Ma oggi? Oggi che nella mia collezione di non professionista della fotografia, possiedo (e non è una boutade) oltre 200mila fotografie personali, questo enorme archivio digitale come sta cambiando e come cambierà il modo in cui io stesso ricorderò, ma soprattutto mia figlia ricorderà la nostra vita?
Sul tema esistono saggi e riflessioni importanti. E studi come quello di Linda Henkel della Fairfield University in Connecticut che ha evidenziato il cosiddetto «photo-taking impairment effect». In pratica: scattare foto in continuazione (capita spesso in vacanza) ci fa usare la macchina fotografica come un mezzo per memorizzare meglio ciò che stiamo vivendo, ma così facendo «indeboliamo i nostri ricordi, affidandoli alla memoria della macchina fotografica invece che a quella della nostra mente». Insomma, fare foto (passatemi il termine) «non pensate» ci distoglie dalla vera osservazione. Io non so se sia sempre davvero così. Ma per la prima volta da anni ho scattato in vacanza poche decine di foto, cercando di «pensarle» ogni volta. E non me ne pento.



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