Col caldo i campi restano a secco
sabato 7 luglio 2012
Mucche stressate, campi dalla terra crepata, alberi dai frutti striminziti. Il caldo torrido colpisce ancora e nuovamente, riproponendo, come una sorta di litania immutata, la questione degli investimenti irrigui in agricoltura e, più in generale, del governo delle acque. Perché, a ben vedere, quella del caldo e della siccità non è altro che l'altra faccia di una stessa medaglia – quella dell'acqua – che girata presenta le inondazioni, le frane e gli allagamenti. Acqua, dunque, ma anche soldi: quelli che occorrerebbero per mettere mano una volta per tutte a un saggio governo dell'acqua irrigua e non e che mancano da tempo immemorabile nelle casse dello Stato e degli enti preposti.A tirare fuori dal cassetto delle faccende irrisolte quella dell'acqua. È stata ancora una volta l'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni (Anbi), che parte da una considerazione di buon senso: non spendere risorse finanziarie nel governo dell'acqua significa far danno alla produzione agricola, quindi all'agroalimentare e quindi a una parte importante dell'economia del Paese (oltre che dell'ambiente). Da qui la necessità, secondo Anbi, di «rilanciare il Piano irriguo nazionale, oggi finanziato con poco più di 53 milioni di euro (utili ad attivare circa 595 milioni di interventi), vale a dire poco più della metà dei 100 milioni stanziati inizialmente ed oggetto di ripetuti tagli». Si tratta di un discorso difficile da fare proprio adesso, in un periodo di tagli e di austerità che l'Italia sta attraversando. Ma è pur sempre un discorso che deve essere fatto, anche a costo di apparire impopolari. E soprattutto tenendo conto che – come è stato sottolineato dalla stessa Anbi – dal servizio irriguo dipende l'87% del made in Italy agroalimentare e l'attuale situazione climatica dimostra di penalizzare non solo i terreni privi d'irrigazione, ma anche quelli marginali, essendo molti impianti irrigui di potenzialità inadeguata all'attuale incremento di richiesta idrica.A fare da sfondo a queste considerazioni, d'altra parte, c'è il quadro di un'Italia a secco in alcuni punti e sottoposta a piogge tropicali in altri (motivo in più per metter mano a una regimazione delle risorse idriche). «In Veneto – ha spiegato sempre l'Anbi – le richieste irrigue sono superiori alle disponibilità, così come nella Bassa Padovana e in Polesine». Diversa, per ora, pare la situazione in Piemonte, «dove i corsi d'acqua hanno livelli idrici confortanti; e anche i grandi bacini alpini registrano ancora confortanti livelli, ma in calo anche repentino». Ulteriormente diversa «è la situazione in Emilia Romagna, dove l'intero territorio è posto in uno stato di rischio gravissimo o eccezionale di siccità: una delle situazioni più gravi del recente cinquantennio».Ma rimane il dato di fondo: servono più soldi per sfruttare meglio l'acqua che c'è e raccogliere più efficacemente quella che arriverà. Di questo l'Anbi chiederà conto al Governo l'11 luglio prossimo nel corso della sua assemblea 2012.
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