giovedì 9 novembre 2017
«I poveri, gli umiliati, i samaritani, la piccola gente, quella che ha scarsissima considerazione di sé: il Regno è loro, e il più grande ostacolo per chi vuole entrarci è essere ricco, importante, virtuoso, intelligente e orgoglioso della propria intelligenza»: è rivolta soprattutto a se stesso questa considerazione di Emmanuel Carrère, scrittore acclamato che ha deciso di confrontarsi seriamente con il cristianesimo in un'opera che due anni fa è stata un vero e proprio caso editoriale anche in Italia.
Parliamo del volume Il Regno, nel nostro Paese pubblicato da Adelphi, a mio parere uno dei più importanti libri "cristiani" degli ultimi tempi, anche se scritto da un non credente: un'inchiesta sul Vangelo di Luca condotta mescolando indagine storica e racconto autobiografico, caratteristica peculiare dell'autore francese (basti pensare a Limonov e L'avversario). In questo caso però la sua diventa una severa investigazione sulla sostanza dell'annuncio cristiano, un vero corpo a corpo la cui lettura spinge anche i credenti a interrogarsi con la medesima serietà.
Quello di Carrère è un ritorno sui suoi passi, avendo trascorso fra il 1990 e il '93 tre anni di adesione alla fede, spinto dalla sua madrina Jacqueline e da una depressione che gli impediva quasi di scrivere. Ogni mattina si alzava e annotava appunti sul Vangelo di Giovanni: alla fine di quel periodo di vera e propria conversione sono rimasti 18 quaderni con i suoi commenti ed è proprio riprendendo in mano quei testi che egli si avventura in questa nuova ricerca, dal taglio a volte più intellettuale che esistenziale. Lui stesso lo ammette più volte e si chiede all'inizio del volume: «Il cammino che in passato ho compiuto da credente, lo compirò oggi da romanziere? Da storico? Non lo so ancora, non voglio dare una risposta netta, non penso che l'etichetta conti poi molto». Così egli si misura con la figura di Gesù («che se non illumina acceca») attraverso l'evangelista Luca e con lui san Paolo. Ma qui non interessano tanto gli studi storici che compie Carrère, affascinato soprattutto dalla lettura elaborata da Renan della vicenda cristiana; non ci interessano tanto la fondatezza e la solidità della sua ricostruzione dei tempi di Gesù e dell'attendibilità dei Vangeli. Le parti più singolari dell'inchiesta sono le sue riflessioni sulla verità del messaggio cristiano, a partire dalla straordinaria diffusione nei primi secoli. «Ciò che mi sorprende – scrive a un certo punto – non è che la Chiesa sia così diversa da com'era alle origini. Al contrario, è che si sia fatta un dovere di essere fedele a quel suo passato, anche se poi non ci riesce. La Chiesa non ha mai dimenticato le sue origini. Ne ha sempre riconosciuto la superiorità e cercato di farvi ritorno come se la verità si trovasse là, come se la parte migliore dell'adulto stesse in ciò che resta del bambino».
C'è insomma in questo libro una ricerca assolutamente sincera, a partire dal riconoscimento dell'agape, quell'amore che privilegia il volto e il bene dell'altro invece del proprio e che è stato capace di sconvolgere la cultura greco-romana del tempo. Carrère ne ha un esempio concreto nell'esperienza dell'Arche di Jean Vanier, che decide un bel giorno di andare a incontrare e di cui riempie le pagine finali del volume. Le pagine più folgoranti a nostro avviso. Fondata 50 anni fa, ora conta 150 comunità in tutto il mondo, ciascuna composta da 5 o 6 persone handicappate mentali e altrettanti assistenti che se ne prendono cura.
Esperienza forte e radicale: un conto è occuparsi dei poveri o dei malati, un conto è accoglierli in casa propria e viverci assieme. Per sempre. Lo scrittore resta in comunità qualche giorno, partecipa al rito della lavanda dei piedi, danza con una ragazza down, Elodie, e alla fine del ritiro canta assieme a tutti gli altri. «Anche se lo trovo un po' imbarazzante – commenta – mi sembra bello che della gente si riunisca per stare il più vicino possibile a ciò che c'è di più povero e vulnerabile nel mondo e in se stessi. Mi dico che è questo, il cristianesimo»; e poco dopo, ricordando quel canto e quel ballo: «Devo ammettere che quel giorno, per un attimo, ho capito che cos'è il Regno».
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