sabato 11 agosto 2018
Essere bravi cristiani non è qualcosa che si possa imparare in qualche manuale. Certo, il Vangelo è il faro, e il catechismo una bussola imprescindibile. Anzi, secondo qualcuno, quest'ultimo è alla fine tutto quel che ci serve. Però no, non basta. Perché Dio non è il nostro padrone, ma il Padre, e noi non siamo suoi servi, ma figli. E per questo non è sufficiente che noi da servi seguiamo pedissequamente regole prefissate per ottenere la benevolenza di Dio, ma è necessario che, proprio in quanto figli, facciamo di più. Perché Gesù «è venuto a portarci qualcosa di più, ad aprire la nostra esistenza a un orizzonte più ampio rispetto alle preoccupazioni quotidiane del nutrirsi, del vestirsi, della carriera... ».
Domenica scorsa papa Francesco, all'Angelus, è tornato su uno dei temi a lui più cari. Ovvero a come il nostro rapporto con la fede non possa mai essere ridotto unicamente a una contabilità fondata su una pratica di leggi. Quasi, appunto, riducendo la fede a una manualistica senz'anima, in base alla quale i meriti e i demeriti non sarebbero altro che il risultato aritmetico di un calcolo arido dei “più” e dei “meno”. Ma in questo modo tutto il nostro rapporto con il Padre altro non sarebbe che un continuo piegare la testa in un gesto di obbedienza assoluta, anzi di totale, passiva sottomissione. Ma, ha spiegato Francesco commentando la parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù «“pane della vita”, vuole saziare non soltanto i corpi ma anche le anime, dando il cibo spirituale che può soddisfare la fame profonda. Per questo invita la folla a procurarsi non il cibo che non dura, ma quello che rimane per la vita eterna».
Si tratta di un nutrimento che il figlio di Dio, ha spiegato Bergoglio, «ci dona ogni giorno: la sua Parola, il suo Corpo, il suo Sangue. La folla ascolta l'invito del Signore, ma non ne comprende il senso – come capita tante volte anche a noi – e gli chiede: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”». Eccola, la domanda di fondo: che cosa dobbiamo fare? La stessa che sarebbe salita alle nostre labbra nella medesima circostanza, la stessa che ci poniamo ogni giorno. «Gli ascoltatori di Gesù – ha detto il Papa – pensano che Egli chieda loro l'osservanza dei precetti per ottenere altri miracoli come quello della moltiplicazione dei pani», secondo quella «tentazione comune» che porta a ridurre «la religione alla pratica delle leggi, proiettando sul nostro rapporto con Dio l'immagine del rapporto tra i servi e il loro padrone: i servi devono eseguire i compiti che il padrone ha assegnato, per avere la sua benevolenza. Perciò la folla vuole sapere da Gesù quali azioni deve fare per accontentare Dio».
Ma, al contrario, la risposta che da Gesù arriva alla folla è del tutto «inattesa»: «“Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”». Le stesse parole che vengono rivolte «oggi, anche a noi». Perché «l'opera di Dio non consiste tanto nel “fare” delle cose, ma nel “credere” in Colui che egli ha mandato». E questo vuol dire che la fede in Gesù «ci permette di compiere le opere di Dio», di essere in altre parole le sue mani. «Se ci lasceremo coinvolgere in questo rapporto d'amore e di fiducia con Gesù, saremo capaci di compiere opere buone che profumano di Vangelo, per il bene e le necessità dei fratelli».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI