Apicoltura in crisi per lo scarabeo
sabato 15 gennaio 2005
Quello che sta accadendo all'apicoltura italiana in questi ultimi tempi è la chiara dimostrazione di come l'agricoltura sia ancora oggi appesa al filo dei capricci della natura.
Capricci che, ovviamente, possono avere pesanti ricadute dal punto di vista economico e che non sono solamente legati all'andamento climatico. Fatto sta che in gioco, proprio in questo periodo, pare esserci un settore che vale un giro d'affari plurimilionario. Tutto per un insetto. A mettere in crisi i bilanci degli apicoltori, potrebbe essere un piccolo scarabeo dal nome anche simpatico (Aethina tumida) ma dalle abitudini piuttosto pesanti. Questo insetto, infatti, infesta gli alveari, si nutre di polline e miele, devasta con le proprie larve tutto quanto e costringe le api a fuggire via: insomma, viene definito come una delle più gravi minacce che l'apicoltura italiana si sia mai trovata ad affrontare. Tanto da diventare l'argomento principale degli "Stati generali" del settore che si terranno la prossima settimana ad Arona. E, in effetti, il pericolo è grande. Anche perché lo stesso insetto ho già devastato le apicolture di Stati Uniti, Australia ed Egitto, mentre è già stata rilevata la sua presenza in Europa in seguito all'importazione di api dagli USA. Una situazione resa ancora più critica dal fatto che le nostre api pare non siano resistenti a questo flagello così come lo sono quelle di altri continenti. Ma a questo punto che fare? L'unico rimedio, per ora, è la distruzione degli alveari colpiti. Con la conseguente perdita di tutto il prodotto. Oltre che il blocco delle importazioni dai Paesi già colpiti.
Misure drastiche, giustificate dal fatto che se la diffusione di questo insetto raggiungesse anche l'Italia, in pericolo sarebbero qualcosa come 1,1 milioni di alveari che ospitano una popolazione di 55 miliardi di api con un
fatturato di 60 milioni di euro, che arriva a 2,5 miliardi se si considera il servizio di impollinazione fornito dalle api all'agricoltura. Senza contare il numero di imprese - circa 75mila - che contano anche il miele nella loro produzione. Tutto senza tenere presente che,
in quest'ultimo periodo, proprio il miele aveva risalito la china dei consumi riscuotendo un buon successo di mercato. Anche se - secondo l'Ismea (l'Istituto per gli studi sui mercati agricoli), l'avvio delle contrattazione della nuova stagione commerciale nelle scorse settimane sembra essere stato deludente. Contrariamente alle aspettative, gli scambi sono apparsi molto contenuti, mentre l'eccessiva disponibilità di prodotto ha fatto diminuire sensibilmente i prezzi, disincentivando gli apicoltori a vendere. A conti fatti, le prime quotazioni del prodotto in vendita sono scese del 10-20% rispetto a quelle del 2003, anche per una produzione 2004 molto più abbondante del 2003. Ma adesso, le prospettive di mercato del miele italiano potrebbero passare in secondo piano, superate non da prodotti concorrenziali ma da un minuscolo insetto.
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