sabato 12 ottobre 2002
Il maggior pericolo non è la tendenza del collettivo a comprimere la persona, ma la tendenza della persona a precipitarsi, ad annegarsi nel collettivo. Così annotava da Londra quella straordinaria scrittrice francese che è stata Simone Weil (1909-1943). Erano gli ultimi mesi della sua vita, minata dalla tubercolosi, e tormentata dalla tragedia del nazismo che ancora svelava la sua macabra potenza. La sua osservazione è significativa, perché siamo di solito inclini a ritenere che è la società a rendere schiavo e succube l'individuo, incanalandolo in comportamenti obbligati, costringendolo più o meno subdolamente a uniformarsi allo standard generale. La Weil, invece, ci ammonisce a tener conto anche della responsabilità personale, di quella gloriosa e perigliosa realtà che ci è stata donata, la libertà individuale. È facile dire che la colpa è della collettività, come non è corretto rimandare semplicemente al diavolo tentatore. Troppo spesso, con superficialità e persino con allegria, deliberatamente scegliamo di "annegarci nel collettivo", ripetendo atti e condividendo idee che gli altri ci propongono. Non è, perciò, lecito far ricadere sempre la colpa sul contesto sociale quando si vede il ragazzo deviare né è permesso assolverci quando ci rassegniamo a seguire l'onda perché possente. La coscienza è proprio la sentinella che sveglia l'intontita nostra libertà e la spinge a remare contro e a tener alta la fiaccola della coerenza, della verità e della dignità.
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