sabato 20 novembre 2004
La maggiore consolazione che ricaviamo dalla transitorietà delle cose è il diritto di poter dire in ogni situazione: «Anche questo passerà!».Conoscevo lo scrittore statunitense Nathaniel Hawthorne (1804-1864) per il suo famoso e forte romanzo La lettera scarlatta, duro attacco contro l"ipocrisia perbenista. Ora, su una rivista americana, trovo una citazione tratta dall"ultimo suo romanzo che non conoscevo, Fauno di marmo, composto e ambientato proprio in Italia. Quella frase, che propongo  oggi ai lettori, ben s"adatta alla sensazione che si sperimenta vedendo i giorni fluire velocemente l"uno dopo l"altro: tra 41 giorni avremo archiviato un altro anno. L"aspetto positivo del flusso del tempo è che anche le disgrazie se ne vanno con quello scorrere. Hawthorne evoca, infatti, una frase che tutti abbiamo ripetuto nei  momenti più amari della vita: «Anche questo passerà!».Certo, è una magra consolazione; eppure è uno dei doni che il tempo ci fa. Pensiamo al dolore lacerante che si prova quando si perde una persona amata: per fortuna il tempo, anche se non cancella la ferita, la cicatrizza e ci permette di continuare a vivere. Bisogna, perciò, saper accogliere questa medicina che la transitorietà delle cose contiene al suo interno e ci distilla sapientemente. Chi s"attacca alle realtà terrene in modo idolatrico, scambiandole per eterne, alla fine si dispera perché le perde, sia già durante la vita con qualche tracollo o insuccesso sia quando vede incombere la morte. Impariamo perciò a vivere consapevolmente il nostro limite temporale. Il Salmista ci invita a pregare così: «Insegnaci, Signore, a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore» (90, 12).
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