domenica 26 novembre 2017
Stavamo ancora intorno al fuoco quando, da dietro, due uomini ci saltarono addosso. "Saltare" però non è proprio il termine esatto. Erano sbucati alle nostre spalle come due assassini, ma il loro gesto, repentino come un assalto, non ne aveva la violenza. Si erano avvinghiati a noi con una vivacità senza impatto, senza rudezza, e sembravano loro stessi i primi imbarazzati da quella situazione. Mentre ci vedevamo già pugnalati essi cominciarono a balbettarci addosso il loro fiato caldo che ci colava lungo il collo: scu… scusateci… noi… non vorremmo disturbare… Se voleste farci la cortesia… di venire… sì… di accettare la nostra ospitalità… Come potevamo avere lo spazio di accettare la loro ospitalità quando già ci stringevano a loro con tanta forza? E tuttavia la loro voce aveva accenti sinceri. La sfrontatezza del loro atteggiamento fisico sembrava potersi accordare con le loro parole educate. E, a giudicare dai brividi delle loro braccia e dai loro sguardi umilmente abbassati, si poteva capire che erano dei gran timidoni. Cosa può esserci di più contraddittorio? E tuttavia, quella contraddizione mi ricordava una situazione piuttosto comune, che avevo già vissuto in città. La situazione dei trasporti urbani all'ora di punta. Schiacciati gli uni contro gli altri, subiamo quella promiscuità senza prossimità, quella contiguità senza contatto, ed eccoci mentre cerchiamo di allontanare il naso dall'ascella di quel tizio, simuliamo indifferenza verso la vecchia aggrappata al nostro torso, ci scusiamo con la ragazza che intrappoliamo contro la porta. Proprio così: quei due uomini ci stavano addosso come in una metropolitana affollata. Eppure eravamo in mezzo alla natura, con tutto lo spazio che si poteva desiderare. Perché le sardine dovrebbero ammassarsi come nella scatoletta quando sono nel vasto oceano? Lo avremmo presto scoperto. Presso gli Asti, la distanza è una conquista. La più difficile di tutte. I nostri due uomini ci condussero con loro cingendoci alla vita, come se fossimo due coppie gay, sempre molto imbarazzati. Il loro villaggio era circolare. Una grande piazza vuota ne costituiva il centro; dei piccoli tuguri, la periferia. Sul suolo, linee tracciate con una sostanza fosforescente collegavano ciascuna abitazione a quella dirimpetto. I nostri ospiti ci avevano condotto a due case abbinate. Mentre aspettavamo che ci facessero entrare ci indicarono la linea luminosa e la case simmetriche dall'altra parte del villaggio: - È laggiù che abita mia moglie, mi disse quello che mi era stato addosso fino a quel momento.
«E laggiù abita la mia, disse a Ugo l'altra sanguisuga complessata».
«Mi farebbe un grande onore se…».
«Sarebbe anche per me un grande onore…».
«Se questa notte volesse andare a letto con lei…».
«E lei con la mia cara mogliettina…».
Il tono non era più tanto tremante. La proposta risuonava come un ordine. Avevo sentito parlare di pratiche simili presso gli Inuit. Ma si tratta di Paesi molto freddi, dove ci sono pochi mezzi per riscaldarsi. Senza sapere bene il perché, e senza neanche consultarci tra noi, io e fratel Ugo ci avviammo sui sentieri luccicanti che portavano alle mogli dei nostri ospiti. Cercavamo di allontanarci da quegli uomini più che avvicinarci alle loro donne. Bisogna anche dire che altri uomini erano venuti fuori dai tuguri vicini e ci avevano gridato in una specie di eco senza fine: E domani, con la mia. E dopodomani la mia. E la mia fra tre giorni, per cortesia… Le porte designate erano già aperte. All'interno, distesa su cuscini, una giovane donna molto bella mi invitava a raggiungerla. In quel momento, ancora niente di lascivo né di osceno. La sua posa era riservata, come se stesse per sottoporsi a un esame ginecologico necessario alla sua salute, ma offensivo per il suo pudore. Mi voltai verso Ugo che non mostrava nessun segno di scrupolo a procedere con passo spedito:
«Non oserai insozzare il nostro abito? Esclamai mentre i miei occhi ritornavano irresistibilmente verso la bellezza che mi si offriva con tanta modestia».
«Bisogna andare incontro all'altro, mi mormorò con le labbra umide brillanti per il fuoco delle candele che ardevano oltre la soglia. E senza attardarsi oltre, unì l'atto alla parola e richiuse la porta dietro lui».
«Non avevo alcuna voglia di trattenerlo. Che si rotolasse nello stupro! Io sarei restato puro! Richiusi anch'io la porta, ma dall'esterno. Un grido di indignazione subito echeggiò da dentro. Non mi importava. Ero risoluto ad aspettare fuori, pregando il Dio fedele. E per questo sarei stato chiamato, fin dal giorno dopo, debosciato».
«Lontani dal corpo, vicini al cuore», dicono gli Asti. Per essi, l'abbraccio carnale è un abbassamento e uno spodestamento. Lo chiamano: «Scuotere invano le sbarre della prigione». E, stando su un solo piede per limitare il loro rapporto con la terra, aggiungono anche : «L'amore non è un affare di organi». La carne è troppo pesante. Le braccia non riescono a cingere il mistero della donna amata. Per il culto che ne hanno non possono fare con lei ciò che fanno le bestie. Ed è per questo per puritanesimo che gli Asti ti invitano all'orgia. Sposarsi, per un Asto, consiste nel possedere tutte le donne tranne una. Sua moglie è la donna che lui non tocca più. I due mettono su casa in modo da risiedere nel villaggio l'uno il più lontano possibile dall'altra. Il tratto di luce diametrale attesta la loro unione profonda - una separazione a cui si acconsente come all'unica possibilità di idealizzare il coniuge. Per provare la sua fedeltà, per non ingannare la sua eletta, l'Asto ha il dovere di accoppiarsi con tutte le altre donne della tribù secondo un calendario preciso e laborioso. Perché non bisogna figurarselo come un amante felice di avere tante donne. L'atto è degradante. Lo compie come una triste bisogna il cui il piacere è troppo meccanico per non causare vergogna. Dopo di che, egli ha fretta di rimettersi a sognare colei che ama – colei che ama in modo veramente disinteressato.
(12, continua. Traduzione di Ugo Moschella)
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