Si può fare teologia sulla missione digitale
Argentino, 40 anni, laico, non si distingue sui social per la quantità dei follower, ma per la competenza in ambito teologico.
Agustín Podestá, argentino, 40 anni, laico, non si distingue sui social per la quantità dei follower. I suoi account @hablemosdeteologia su Instagram, Facebook e YouTube non arrivano, messi insieme, a 20mila follower, e lui stesso confessa che deve a un post recente un’impennata di qualche migliaio su Instagram che quasi lo preoccupa. L’identità di questo autore è piuttosto quella di un teologo, come racconta su Linkedin: egli insegna e fa ricerca presso l’Universidad del Salvador di Buenos Aires. Un teologo che, stando sui social, sta maturando una notevole competenza nell’ambito della missione e dei missionari digitali, riconosciutagli sia dal Dicastero vaticano per la comunicazione, sia da chi, nell’infosfera ecclesiale latinoamericana, si applica a descrivere e interpretare questo fenomeno.

Ad esempio, troviamo Podestá in un video di Canal Orbe 21 a dialogare con Alejandro Beltrán (si veda la puntata di questa rubrica del 27 ottobre dedicata a quest’ultimo); intervistato sul sito della diocesi di Montevideo appena ritornato dal Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici di fine luglio scorso a Roma; coautore di un argomentato saggio che analizza le «chiavi pastorali del magistero di papa Francesco sulla cultura digitale» sul numero monografico che la rivista “Yachay”, edita dalla Facoltà di teologia dell’Università cattolica boliviana, ha interamente dedicato alla missione digitale; autore infine di un contributo sul recentissimo volume “La Chiesa ti ascolta” (San Paolo) dedicato al drappello di missionari digitali italiani che si riconosce nell’omonimo progetto vaticano.
In questa stessa veste di esperto della missione digitale Podestá ha tenuto, lo scorso 16 dicembre, una lezione in videoconferenza su invito della Pastoral DuocUC (la sigla identifica il “Dipartimento universitario operaio e contadino”, importante istituto cileno nell’ambito della formazione superiore tecnico-professionale). Il titolo della lezione è “Dottrina sociale della Chiesa ed etica della cura nell’evangelizzazione digitale” e la si può ascoltare integralmente (dura 40 minuti) su YouTube.
Nell’ultima slide la riassume in quattro punti: «riconoscere la propria vocazione missionaria digitale», «applicare i principi della dottrina sociale in Rete», «esercitare un’etica della cura verso i più vulnerabili» e «discernere la propria prassi digitale all’interno di una solida spiritualità». Si tratta di un testo molto ben congegnato, che conferma la solidità delle convinzioni maturate da Podestá sulla missione digitale: la conosce davvero bene ed è in grado di analizzarne tanto le forme quanto i contenuti. In più manifesta una vera passione a riguardo degli aspetti che ritiene più problematici, il tutto ancorandosi al patrimonio della dottrina sociale della Chiesa.
Tra le principali preoccupazioni di Podestá vi è il conflitto che il parlare di Dio in Rete può portare: insiste a dire che il missionario digitale non può mai vedere l’altro come un nemico, teme in questo senso chi si giustifica con il ruolo di apologeta e, sviluppando il tema bergogliano del “samaritanare” sui media, arriva a dire che anche l’hater va riconosciuto come un’anima ferita. I follower, sostiene, vanno visti come la propria comunità: di essi ci si deve fare carico, ad esempio rispondendo ai commenti uno per uno anziché limitarsi a contarli insieme ai like… E infine raccomanda una pratica toccante: un missionario digitale dovrebbe pregare su ogni post che si prepara a pubblicare.
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