Tra guerra e pace. Per riconciliare l’Umano con il senso

Paghiamo il prezzo di una lunga fase caratterizzata da modelli di sviluppo esponenzialmente acquisitivi, speculativi, estrattivi e distruttivi fondati sull’avidità, sulla crescita senza misura
October 21, 2025
Tra guerra e pace. Per riconciliare l’Umano con il senso
A Gaza hanno smesso di uccidere. Forse. Oggi. Domani chissà. Nella striscia più a sud della Terra di Canaan le armi provano a tacere. È un tentato silenzio irreale, bramato, sottile. Teso all’estremo, come un filo d’acciaio che vibra, pronto a spezzarsi in ogni momento. Da lontano sembra pace. Da vicino è solo un respiro: flebile, fragile, ma vivo. Un fiato di speranza che nasce dagli abissi più profondi ed oscuri dell’orrore. Nella valle dei patriarchi e dei profeti, dove il vento parla la lingua dell’eternità, la Storia sanguina ancora. La pace firmata a Sharm el-Sheikh, in un ottobre ancora intriso di luce, arriva quasi trent’anni dopo il colpo che fermò il cuore di Yitzhak Rabin, il 4 novembre 1995. Non è un anniversario, è un rammendo. Un punto cucito con audacia nel tessuto logoro della Storia. Il filo interrotto di un sogno spezzato: quello di Oslo, quello della Pace dei Figli di Abramo.
Altrove, invece, si continua a morire. In Ucraina. In Africa. In mille terre dimenticate. Sono quasi cento i focolai armati che infiammano di odio il pianeta. Oggi come ieri. Da circa tredici miliardi di anni l’Universo esiste e si espande. Da duecentomila, più o meno, noi - fragili umani - lo abitiamo. Da allora siamo in cammino: abbiamo elaborato filosofie, costruito bellezza, edificato città, sviluppato algoritmi. Abbiamo acceso fuochi nelle caverne e inviato satelliti nello spazio. Abbiamo esplorato le stelle e i pianeti cui i nostri avi guardavano con mistico mistero. Sempre coltivando l’idea di un futuro migliore e di una felicità (individuale e collettiva) possibile. Eppure, qualcosa non torna. La Storia — quella scritta e quella taciuta — ci consegna un dato che pesa come una bestemmia: in oltre tremilaquattrocento anni di cronache, appena duecentosessantotto sono trascorsi senza guerra. Il resto è fumo, ferro, polvere, lacrime, dolore. Preghiere interrotte. Morte. Dov’è il progresso? Dov’è l’evoluzione civile e morale dell’Umanità? Cosa ci sfugge? Sembra quasi che la guerra non sia un incidente della Storia, ma la sua lingua madre.
Eppure, di tanto in tanto, qualcuno tenta di parlare un’altra lingua. È successo con Isaia, quando profetizzò che le spade sarebbero state rifuse in vomeri. Poi venne il tempo di Francesco d’Assisi, che nel mezzo delle crociate attraversò i fronti per parlare al Sultano. E, infine, con Tolstoj, che in “Guerra e pace” trasformò la battaglia in meditazione sull’anima, ricordandoci che la vittoria non è mai militare, ma interiore. Succede ogni volta che un uomo o una donna rifiuta di odiare: ogni «no» alla vendetta è un «sì» all’Umanità.
Dove continuiamo a sbagliare? Ci chiamiamo sapiens, ma viviamo come se la saggezza fosse un lusso e la ferocia una necessità. E la esprimiamo — la ferocia — in svariate e diverse forme: economiche, culturali, verbali, spirituali. Ci sono infiniti modi per uccidere tra fratelli. Non solo con le armi. Le guerre che combattiamo sono molteplici: guerre di mercato, guerre di narrazione, guerre di identità. A Milano contro una donna indifesa, a Palermo contro un ragazzo che lavora, a Padova contro tre servitori dello stato, ovunque nel mondo. Esplosioni di rancore? Di più, implosioni di “senso”. La questione è ontologica prima ancora che geo-politica o sociale. È lo scontro tra ciò che siamo e ciò che dovremmo essere. E’ lo sconto tra bene e male, tra tenebre e luce. Così, mentre il tempo dilata le galassie e la vita affina le sue forme, noi restiamo inchiodati allo stesso enigma: cos’è la pace? cos’è la vera pace? è possibile la vera pace?
Abbiamo (tremendamente) bisogno di una risposta semplice ed essenziale. Ma, al contempo, definitiva e risolutiva. Una risposta capace di orientare e illuminare questo tempo incerto, sospeso al limitare di crisi ed opportunità, di futuro e di passato, di utopia e distopia. Azzardiamone una: la vera pace è riconciliazione. Riconciliazione dell’Umano con la propria verità: storica, cosmica, ontologica ed escatologica. Perché non può esserci pace autentica senza giustizia. E non può esserci perfetta giustizia senza verità. La vera pace è un frutto che matura solo sull’albero della giustizia e della verità. Tutto il resto è illusione ed inganno. Sant’Agostino avrebbe detto: pax est ordinata concordia. Ma quale ordine può nascere dal disordine veritativo?
Purtroppo, facciamo fatica ad imparare la lezione. La Storia — maestra instancabile — continua a parlare. Ma noi non ascoltiamo. Il World Inequality Report 2024, per l’ennesimo anno, ha evidenziato che “le disuguaglianze globali contemporanee sono tornate ai livelli dell'inizio del ventesimo secolo, al culmine dell'imperialismo occidentale”. Paghiamo il prezzo di una lunga fase caratterizzata da modelli di sviluppo esponenzialmente acquisitivi, speculativi, estrattivi e distruttivi fondati sull’avidità, sulla crescita senza misura, sull’illusione che accumulare sia progredire. La saldatura tra potere economico, potere tecnologico e potere politico, ha reso devastanti (e potenzialmente distopici) gli effetti di questa impostazione. Se il “sistema” rifiuta la misura, la sobrietà ed il limite diventa, inevitabilmente, auto cannibale: distrugge se stesso e chiunque ne sia parte, mentre si illude di prosperare. Le guerre (di qualunque tipo e natura) ed il disordine globale sono frutto della nostra crescente stoltezza. La guerra di tutte le guerre è quella che combatte l’entelechia, il nous, il logos. Ovvero, la guerra contro noi stessi, la guerra contro la nostra verità di esseri umani, la guerra contro la nostra anima, la guerra contro la scintilla di eterno che è in noi. Tutto il resto è conseguenza.
Albert Camus scrisse che «ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo, ma la mia sa che non lo rifarà. Tuttavia, il suo compito è forse più grande: impedire che il mondo si distrugga da sé». È questa la soglia su cui siamo: o impariamo a vivere con misura, o saremo i custodi delle nostre rovine.
Nell’era dell’antropocene aumentato e della società artificiale questo rischio è - se possibile - ancora più grande. Verità e giustizia sembrano sfumarsi fino a dissolversi definitivamente. E con esse l’Umano. Viviamo immersi nella complessità irrisolta e la chiamiamo progresso. Accumuliamo conoscenza che non sappiamo più trasformare in sapere vivificante.
Abbiamo sostituito la verità con la funzionalità, la giustizia con l’efficienza. La tecnica – direbbe Heidegger - ha smesso di essere un mezzo e ha cominciato a essere un mondo. E noi, dentro quel mondo, ci siamo entrati come turisti. Non come architetti. Adesso non troviamo più l’uscita.
Siamo immersi in un sistema in cui politica, economia, cultura e tecnologia sono intrecciate come fili di un’unica trama. Ne tocchi uno, vibra il mondo intero.
Non è caos: è armonia smarrita. Tocca a noi ritrovarla.
Nella verità. Da bravi Armonauti.
È questa la vera pace che siamo chiamati a costruire: la riconciliazione dell’Umano con il senso, del potere con il limite, della storia con la grazia. Questa si che è vera innovazione armonica.

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