Quadri di vita dalla Napoli di Rosi

«Il Vesuvio fabbrica tutte le nuvole del mondo» ha scritto Jean Cocteau, e anche a lui Gianfranco Rosi si ispira per raccontare Napoli nel suo Sotto le nuvole.
September 24, 2025
«Il Vesuvio fabbrica tutte le nuvole del mondo» ha scritto Jean Cocteau, e anche a lui Gianfranco Rosi si ispira per raccontare Napoli nel suo Sotto le nuvole. Una Napoli immota, restituita in modo nitido nei chiaroscuri di un bianco e nero di struggente bellezza, eppure dietro la sua apparenza statica, luogo unico, magnetico, attraversato da misteriose forze e pulsioni. Guizzano sottotraccia correnti vitali non riconducibili a quelle più stigmatizzate della Napoli contemporanea – Pulcinella, neomelodici, pizza e mandolini. Al contrario, spinte invisibili che animano una città la cui magia sembra risiedere nello stratificarsi del tempo: delle sue diversi cronologie amalgamate nel farsi e disfarsi della Storia. Il presente in modo impalpabile anche si compone del passato.
La Pompei del 79 dopo Cristo, azzerata sotto la lava e narrata da Plinio il Giovane, è memoria depositata sulle statue che una custode del Museo archeologico di Napoli archivia e da trent’anni continua a osservare, catalogare, interrogare, consapevole di quanto l‘oggi anche e soprattutto sia fatto di quella polvere sotterranea. Perché le cose coincidono con il loro stesso spirito, sono tempo “sovrapposto e mescolato”: tracce lontane che pulsano per come trascendono ogni cronologia. La vita innervata nei tanti quartieri della città brilla sulla distesa di luci e lucine accese nella notte, alle pendici del vulcano. Vita la cui narrazione per immagini e “quadri” non si articola in retoriche rappresentazioni o in roboanti, generici discorsi, invece nelle telefonate che arrivano a un comando dei vigili del fuoco, sfoghi di ansie per scosse di terremoto, invocazioni di aiuto da parte di donne vittime di violenze domestiche. Umanità palpabile, concreta, quando ogni voce è contatto, e basta una battuta pronunciata in dialetto perché si riaccenda la speranza. Premio speciale della Giuria a Venezia (dodici edizioni dopo il Leone d‘oro vinto con Sacro GRA), più che mero documentario, il lavoro di Rosi è un affresco.
Senza colori variopinti o sgargianti, no: una veduta in chiaroscuro rigorosa, in virtù di un guardare attentissimo e sempre ravvicinato. Grande ritratto che a parte qualche eccesso di lentezza, conta il talento di un procedere prismatico. Sono voci e punti di vista tra loro molto diversi a tessere il racconto di questa Napoli insolita e lontana da qualsiasi cliché, città segreta e solo all’apparenza immota, non fosse il frangersi di onde alte sulle rive del golfo. Maestri di strada e i ragazzini da quelli aiutati a fare i compiti, vigili del fuoco, custodi di musei, ma anche archeologi giapponesi, o marinai siriani approdati nel porto di Napoli per lo sbarco di tonnellate di grano proveniente dall’Ucraina. Anche la guerra irrompe, a moltiplicare le tensioni sottotraccia di questo paesaggio ingannevolmente statico. Nel mentre tra sussulti che non vediamo, sotto le nuvole Napoli vive, troneggia, resta. 

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