Hind Rajab, quella voce di bimba vinta che ci inchioda
In un film doloroso e durissimo come è questo, la tensione scatta subito, subito si è catapultati nell’apprensione per la sorte della bambina palestinese Hind Rajab.
In un film doloroso e durissimo come è questo, la tensione scatta subito, subito si è catapultati nell’apprensione per la sorte della bambina palestinese Hind Rajab. Chiusa in una macchina pochi istanti prima crivellata dai colpi di un carro armato israeliano, nel nord di Gaza, la bambina, unica superstite, al telefono chiede aiuto. Il personale della Mezzaluna rossa (organizzazione palestinese di soccorritori paramedici con sede in Cisgiordania) ha intercettato la sua voce, e con quella voce, nell’unico modo concesso, una conversazione telefonica sincopata per via della linea che cade di continuo, fa di tutto per confortarla e intrattenerla, nell’attesa spasmodica che la burocrazia dei soccorsi intanto si sblocchi, agisca, la salvi, lei piccolissima e sola, stretta tra i cadaveri dei suoi familiari morti innocenti. Gli audio delle voci di Hind e di sua madre sono veri (tutta la storia è realmente accaduta, nel gennaio del 2024), e la cosa più indimenticabile del film è la portata emotiva di questo timbro infantile.
Un timbro sonoro che da sé solo racconta e arriva al cuore: al cuore della guerra nella sua feroce insensatezza, al cuore di ogni spettatore di un’opera che merita ogni riconoscimento, compreso il Leone d’oro che non ha ricevuto. Per la regista tunisina Kaouther Ben Hania (già autrice del bellissimo Quattro figlie), è stato del resto l’impatto dell’ascolto di questi audio ciò che l’ha spinta a realizzare il film. Rendere omaggio a una storia atroce. Un monito etico, incuneato in una drammaturgia anche estetica. Quando, ormai disperati e consumati dall’attesa sempre più stressante del salvataggio di Hind, gli operatori trovano online fotografie di lei e le stampano (il suo visetto vispo e felice, quando a Gaza ancora la vita era vita), noi continuiamo a restare sintonizzati sulla sua voce. Hind ha paura, è terrorizzata, grida nel telefono che i carri armati stanno avanzando verso la macchina nel cui abitacolo i corpi dei familiari ammazzati la schiacciano, le ore passano, il buio avanza e Hind anche di quello ha tanta paura.
E la sua voce, l’angoscia che vibra nei suoi strozzati “no” e “sì”, tutto toglie il respiro, tutto è eco sospesa, di un dolore che non troverà cura e nemmeno modo di dirsi per davvero, sino in fondo. Poi ecco, la storia ormai galoppa verso il peggiore dei finali, un volto colpisce e fa soffrire come sino ad allora hanno fatto soffrire le voci. Una delle operatrici sta parlando al telefono con la bambina, e sullo schermo di un cellulare che la riprende appare la donna reale, quella della storia “vera” e non dell’attrice che la interpreta. Irrompe altra realtà, vediamo i veri madre, fratellino, zio di Hind. Vite distrutte, tracce di un dramma la cui vicenda insieme a migliaia di altre, grazie a un’opera unica come questa porteremo in noi, incancellabili.
© RIPRODUZIONE RISERVATA





