Conosci te stesso
Non saprei dire se Kenobi Rikyu sia stato mio amico. Per più di trent’anni ci siamo scritti e frequentati, in un paio di occasioni ci siamo imbattuti l’uno nell’altro quando e dove meno ce lo saremmo aspettato.
Non saprei dire se Kenobi Rikyu sia stato mio amico. Per più di trent’anni ci siamo scritti e frequentati, in un paio di occasioni ci siamo imbattuti l’uno nell’altro quando e dove meno ce lo saremmo aspettato. Avevamo più o meno la stessa età. Avevamo, più che altro, molti interessi in comune. Una cordiale formalità contrassegnava i nostri rapporti, eppure poteva capitare che, nel mezzo di una conversazione di tutt’altra natura, uno dei due – lui, solitamente – si lasciasse andare a confidenze di improvvisa, quasi incongrua profondità.
Eravamo allora come i personaggi della Sonata a Kreutzer: sconosciuti che si incontrano per il tempo breve di un viaggio e ne approfittano per confidarsi un segreto. Una distanza incolmabile separa la mia prosa da quella di Tolstoj, ma nelle prossime settimane proverò ugualmente a ripercorrere la storia dei miei rapporti con «il signor Kenobi», come lui desiderava che lo chiamassi. Sarà un racconto erratico e frammentario, come erratico e frammentario è stato l’andamento dei nostri scambi. Nonostante questo, non riesco a non pensare di aver conosciuto il signor Kenobi più e meglio di quanto molti di noi arrivino a conoscere sé stessi. Se altrettanto valeva per lui, devo arrendermi al fatto che con la sua scomparsa una parte di me è andata perduta. © riproduzione riservata
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