Galileo e Dio che parla con i numeri
Il suo grande atto di teologia applicata: Dio, quando ha creato il reale, ha scelto la matematica come lingua perché doveva essere comprensibile

Galileo Galilei era cattolico. Cattolico vero, non di facciata. E quando nel famoso passaggio del Saggiatore scrisse che «la natura è un libro scritto in caratteri matematici», non era una trovata estetica. Era un atto di teologia applicata. Era un modo per dire che Dio non comunica tramite allegoria arbitraria, ma tramite struttura. La metafora più radicale del Seicento non è che il mondo sia “una macchina”, la metafora più radicale è che il mondo sia un testo. Questo è il punto psicologico fin troppo sottovalutato: Galileo non sta solo dicendo che si possono fare calcoli. Sta dicendo che Dio, quando ha creato il reale, ha scelto la matematica come lingua perché doveva essere comprensibile, e soprattutto — leggibile.
Il latino era lo strumento degli interpreti di professione, la matematica è lo strumento di chi vuole abolire l’interprete e guardare direttamente il reale. E allora la più grande insubordinazione galileiana — che ancora oggi non è stata compresa per intero — non è la difesa dell’eliocentrismo. La più grande insubordinazione è dire che l’essere umano può saltare il filtro. Che può guardare direttamente. Che non deve passare da un intermediario autorizzato. La matematica come lingua del reale non è un’equazione: è una rivoluzione politica. La matematica come lingua del reale è un esonero dal permesso. È l’abolizione dell’apparato interpretativo: l’uomo legge Dio direttamente nella sintassi del cosmo — senza bisogno di imprimatur. Ecco perché Galileo è esplosivo. Ecco perché Galileo non è solo un capitolo della storia della fisica: è una frattura nella storia della legittimità. L’eliocentrismo è solo la punta luminosa dell’iceberg. Sotto c’è la questione più profonda: se la natura è un libro, allora si può sbagliare. Si può correggere l’interpretazione. Si può aggiornare l’edizione. E si possono mostrare gli errori degli interpreti precedenti — non perché si disprezzano gli autori, ma perché si prende sul serio l’esistenza del testo. Galileo non si oppone alla religione: Galileo si oppone al monopolio dell’interpretazione. Tutto qui.
Galileo non vuole togliere Dio dal mondo: vuole togliere l’umanità dal ruolo di misteriosa emissaria dei suoi significati. La matematica in Galileo ha questa brutalità: non fa prigionieri. Perché se due corpi cadono nel vuoto, e cadono nello stesso modo, e cadono sempre nello stesso modo, allora non serve l’autorizzazione di nessuna autorità per dire che quella è legge. Se la natura è libro e Dio è autore, non puoi correggere l’autore per salvare il commento. Devi correggere il commento per salvare l’autore. Galileo lo capisce prima di tutti. La Chiesa istituzione dell’epoca no. Perché per la Chiesa istituzione dell’epoca, Dio aveva scelto il latino e la gerarchia; per Galileo, Dio aveva scelto la matematica e la coerenza. E queste due ipotesi non sono due opinioni: sono due mondi metafisici che non si parlano. Galileo mette la matematica al posto dell’ermeneutica. Galileo non dice che la matematica descrive il reale: Galileo dice che il reale è matematico. E qui c’è la più grande trasgressione: non descrizione, ma ontologia. Non strumento, ma essenza. E se l’essenza è matematica — allora Dio parla nella formula, non nella glossa. La cosa sconvolgente è che questa intuizione oggi è talmente sedimentata che non la sentiamo nemmeno più rivoluzionaria. Dire che l’universo è leggibile è diventato così ovvio che non ne percepiamo più la violenza originaria. Nel 2025 parliamo di “equazioni di campo”, “modelli standard”, “parametri liberi”, “tensori di curvatura”, “interferenze quantistiche”, “linee di emissione nell’infrarosso” — ma l’asse portante è ancora quello: usiamo la matematica per ascoltare il reale. Abbiamo costruito strumenti che misurano grinze nello spaziotempo di un miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di metro. Abbiamo telescopi che ci mandano immagini di galassie quando l’universo non aveva ancora 400 milioni di anni.
Abbiamo algoritmi che ricostruiscono la luce fossile della radiazione di fondo e ci dicono che la densità di energia oscura domina la dinamica universale. Tutto questo — Galileo non l’ha previsto. Ovviamente. Ma ha previsto il principio. La forma epistemica. L’atto. L’idea che “si può leggere” senza intermediari. L’idea che la natura non si giustifica attraverso la spiegazione — ma attraverso la misura. Oggi il potere non è più nella spiegazione. È nel dato. E questa è galileiana al 100%. Oggi la frase più rivoluzionaria non è “Dio non esiste”. La frase più rivoluzionaria è: “il dato è più forte dell’interpretazione”. Galileo non distrugge il sacro. Galileo sposta il sacro. Lo porta dentro la struttura. Non il mistero come opacità — ma il mistero come profondità. Per questo Galileo non è mai finito. Perché Galileo inaugura la cosa che ancora ci tiene svegli, noi che facciamo fisica: la matematica non è una didascalia. La matematica è la lingua in cui l’universo è stato scritto. Quando oggi un fisico teorico parla di simmetria gauge, di principio di minima azione, di trasformazioni di Lorentz, di quantizzazione canonica, sta ancora dicendo questa cosa qui, ma con un lessico più aggiornato.
Quando guardiamo le simmetrie, stiamo guardando la grammatica del cosmo. E quando diciamo che un’equazione “funziona” vogliamo dire che l’universo la parla. Galileo ha aperto questa porta. Galileo ha insegnato che si può saltare l’interprete e guardare direttamente. Galileo ha insegnato che Dio — se Dio c’è — non è nel miracolo che deroga alla legge, ma nella legge che non deroga a se stessa. Galileo ha insegnato che la fede non è l’accettazione dell’interpretazione, ma la fiducia nella coerenza. Galileo ha insegnato che il sacro non è l’eccezione: il sacro è la stabilità. E allora il mondo contemporaneo — quello che abbiamo oggi, quello che maneggiamo ogni volta che apriamo un paper, ogni volta che calcoliamo un integrale di percorso o scriviamo un Hamiltoniano — è ancora figlio di quella intuizione. Noi siamo dentro Galileo ogni volta che assumiamo che la natura non mente. Noi siamo dentro Galileo ogni volta che diamo per scontato che la realtà abbia sintassi. L’universo come testo: questo è l’asse. Galileo lo ha messo sul tavolo. E noi — da quattro secoli — continuiamo a leggerlo. Anche senza accorgercene.
Domanda per voi: Siamo ancora capaci di guardare la realtà direttamente? Altrimenti, cosa ce lo impedisce? La mia risposta: Io penso che sì — ma dobbiamo volerlo. Perché leggere il mondo “di prima mano” richiede attenzione, presenza, coraggio. Galileo ci ha insegnato che la realtà non va presa in prestito da nessuno: va guardata con i nostri occhi. Scrivete le vostre risposte a interferenze@avvenire.it.
Domanda per voi: Siamo ancora capaci di guardare la realtà direttamente? Altrimenti, cosa ce lo impedisce? La mia risposta: Io penso che sì — ma dobbiamo volerlo. Perché leggere il mondo “di prima mano” richiede attenzione, presenza, coraggio. Galileo ci ha insegnato che la realtà non va presa in prestito da nessuno: va guardata con i nostri occhi. Scrivete le vostre risposte a interferenze@avvenire.it.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






