Johannes Kepler: cercare Dio nei dettagli del cielo

Scienziato “combattente” tra crisi e riscritture continue, trova nell’ostinata ricerca dell’armonia del cielo un’unica strada che tiene insieme scienza, dolore e spiritualità
December 19, 2025
Johannes Kepler: cercare Dio nei dettagli del cielo
Ci sono scienziati che sembrano costruire la propria vita come un manoscritto pieno di cancellature, di tentativi, di pagine riscritte mille volte. Johannes Kepler è uno di questi. Non l’immagine perfetta del genio sereno: lui era il contrario. Era un combattente. Un uomo che ha attraversato guerre, malattie, lutti, miserie, dubbi continui – e che nonostante tutto guardava il cielo come se stesse guardando una promessa. Kepler nasce nel 1571 in una Germania agitata, spaccata da conflitti religiosi e politici. La sua famiglia è povera, il padre mercenario, la madre ostinata e fragile (tanto fragile da finire accusata di stregoneria, e Kepler passerà mesi a difenderla nei processi). Eppure, dentro tutto quel disordine, lui trova una cosa che gli dà una direzione: il cielo.
Le comete, le eclissi, i pianeti, i moti che sembrano imperfetti e invece custodiscono pazienze invisibili. Io, che qui mi sono definita “alla ricerca”, guardando Kepler ritrovo una vicinanza che non mi aspettavo. Perché Kepler non cercava soltanto leggi astronomiche: cercava un senso morale, una coerenza che tenesse insieme ciò che vedeva e ciò che credeva. Non separava l’essere umano in compartimenti: scienza, fede, filosofia, dolore… era tutto parte dello stesso faticoso cammino.
La frase che lo identifica più di tutte è forse la più disarmante per la sua sincerità: «Sto pensando i pensieri di Dio dopo di Lui». Non è arroganza, non è presunzione. È l’umiltà assoluta di chi si sente minuscolo, ma sente anche che capire le leggi del mondo significa avvicinarsi, non allontanarsi, da qualcosa di sacro. Kepler cercava armonia in ogni dove. E la cosa straordinaria è che non la trovava subito: si imbrogliava nelle sue stesse equazioni, sbagliava calcoli, tornava indietro. Era un uomo che inciampava continuamente, ma poi si rialzava.
E quei suoi inciampi – come spesso succede nella vita vera – lo hanno portato alla verità. La sua scoperta delle orbite ellittiche nasce proprio da lì, da un errore che non si ostina a difendere, da una correzione che accetta con la pazienza dei veri cercatori. E mentre lo studio, lo rileggo, lo ascolto attraverso i secoli, mi colpisce sempre un tratto: Kepler non ha mai vissuto il confine tra scienza e spiritualità come un muro. Per lui la matematica era una forma di preghiera.
Non nel senso rituale, ma nel senso della devozione: dedicare tempo a qualcosa che non capisci ancora, ma che senti vero. E se ci pensiamo, vivere oggi non è molto diverso. Anche noi ci muoviamo tra forze che non capiamo del tutto, eventi inattesi, distanze che sembrano incalcolabili. Eppure cerchiamo un ordine, un orientamento, un significato che non si lasci travolgere dal caos. Kepler lo faceva guardando i pianeti. Io lo faccio guardando gli archivi dei fisici. Tu, magari, lo fai guardando le cose piccole, quotidiane: una scelta difficile, un dolore che si trascina, una speranza che torna.
Ognuno ha il suo cielo da decifrare. C’è un passaggio nelle sue lettere che mi commuove sempre, perché non parla dell’universo, ma di lui: Kepler scrive che «la natura è un libro aperto, ma richiede occhi pazienti». E questa è una frase che oggi ci rispecchia fino all’osso. Perché la pazienza di cui parla non è quella dei tempi lunghi. È la pazienza di tenere insieme il mondo quando vorrebbe scomporsi. È la pazienza di non scegliere tra essere razionali o spirituali. È la pazienza di ammettere che siamo impastati di entrambe le cose. Kepler non ha mai visto la scienza come fuga dalla fede, né la fede come fuga dalla realtà. Ha vissuto tutto insieme, come un unico gesto umano.
E allora, come ogni volta, arrivo alla domanda finale. Quella che non vuole essere una verifica, ma un invito al dialogo. Tu oggi dove cerchi la tua armonia? Nel tentativo di capire cosa sta succedendo dentro di te? Nelle cose che ti rassicurano? O nel coraggio di guardare le domande che ancora ti fanno un po’ paura? Leggerò tutte le vostre risposte: potete inviarle a interferenze@avvenire.it o (se brevi) nei commenti sui social network.

© RIPRODUZIONE RISERVATA