“Fine delle malattie” con la spinta dell’IA? Cosa dice la realtà

May 7, 2025
Come recentemente sottolineato su The Atlantic, negli ultimi tempi il mondo della tecnologia è in fermento, e i dirigenti delle aziende leader nel campo dell’intelligenza artificiale non esitano a fare previsioni audaci, parlando della fine delle malattie e persino della cura del cancro, non grazie a decenni di ricerca oncologica o alla risoluzione della carenza di medici ma piuttosto grazie alle nuove frontiere dell’IA generativa. Molti sono messaggi di marketing, certo, ma sorge spontanea la domanda: c’è una base di verità in affermazioni così eclatanti? E se l’IA generativa potesse contribuire in minima parte a tali scoperte, da dove inizierebbero la tecnologia e gli scienziati che la utilizzano? Ascoltando scienziati ed esperti di importanti istituzioni di ricerca e aziende farmaceutiche emerge un quadro più sfumato. Sebbene l’IA generativa abbia indubbiamente molto da offrire alla scienza, le sue applicazioni attuali sono probabilmente meno rivoluzionarie di quanto i suoi creatori vogliano far credere. L’analogia più calzante la descrive più come un motore molto veloce che come un’auto a guida autonoma. Ci sono regole ben precise nello sviluppo dei farmaci, e questa “segnaletica stradale” esiste per una buona ragione. Di fatto ci sono due tipi di IA generativa che stanno contribuendo alle scoperte scientifiche. La prima categoria è composta essenzialmente da chatbot avanzati: strumenti progettati per cercare, analizzare e sintetizzare enormi quantità di letteratura scientifica al fine di produrre report utili. Il sogno è poter chiedere a un programma del genere, in linguaggio naturale, informazioni su una malattia rara o un teorema non provato e ricevere intuizioni trasformative. Non siamo ancora a questo punto, e forse non ci arriveremo mai. Il secondo tipo di IA scientifica mira a “parlare il linguaggio” della biologia, strumenti che possono aumentare sia l’efficienza temporale che la probabilità di successo della ricerca. Grandi aziende farmaceutiche utilizzano strumenti interni basati sull’IA per identificare potenziali bersagli per il trattamento di tumori. L’IA, però, non scoprirà un farmaco da sola ma aiuterà a ridurre il tempo di ricerca. L’obiettivo finale dell’IA potrebbe quindi essere quello di migliorare drasticamente l’efficienza scientifica. Se si considera l’intero ciclo di sviluppo di un farmaco, la domanda è: come possiamo comprimere il tempo? Le tecnologie IA potrebbero ridurre di anni questo ciclo vitale, anche se ne rimarrebbero comunque molti. Si ipotizza una riduzione da 20 anni a forse 15, o un taglio di circa tre anni sul processo totale, aumentando anche la probabilità di successo. Il tema etico, che diventa poi elemento che dà forma all’algoretica, è che per costruire l’IA per la scienza, è necessario fare della scienza. L’IA è uno strumento potente e utile, ma il progresso scientifico, e la speranza di curare malattie complesse come il cancro, è possibile solo in una solida collaborazione tra l’ingegno umano e l’efficienza computazionale dell’IA. © riproduzione riservata

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