Le lacrime poetiche di John Cooper nel controverso regno di Elisabetta I
Può esistere una poesia del dolore? E un principio estetico ideale destinato a celebrare i sentimenti di abbandono e struggimento che accompagnano la morte di una persona cara? Sembra nato per rispondere a questi interrogativi il disco Funeral Teares (pubblicato da Zig Zag e distribuito da Jupiter), dedicato al repertorio vocale più lirico e tenebroso di John Cooper (ca. 1575-1626), autore meglio conosciuto con il cognome italianizzato di Coprario.
Le «lacrime funerarie» del titolo sono quelle riferite alle rime e alle melodie dei lamenti e dei compianti funebri riuniti nelle antologie Funeral Teares e Songs of Mourning (Canzoni del lutto), date alla stampe nei primi anni del XVII secolo e oggi riportate a nuova luce dagli ensemble Céladon e Les Jardins de Courtoisie. Accompagnati dalle sonorità antiche e felpate di arpa, liuto e viole da gamba, il soprano Anne Delafosse-Quentin e il controtenore Paulin Bündgen ci guidano attraverso le dissonanze, i cromatismi e le audaci armonie di opere che testimoniano mirabilmente dell'universo artistico fiorito intorno alla corte di Elisabetta I Tudor in uno dei periodi più controversi della storia inglese, quando all'ombra del clima di discriminazione e di terrore che marchiava a fuoco la vita religiosa delle protestanti isole britanniche sono sbocciati i capolavori letterari dei vari Shakespeare e Spenser, ma anche l'estro e il talento di compositori del calibro di Byrd, Johnson e Robinson.
Era l'epoca in cui l'alta nobiltà si dilettava a coltivare con le lettere, con gli strumenti e con il canto l'«arte della melanconia», attraverso i suoi aristocratici riti intimamente legati alla sfera musicale, già scanditi dalle celebri Lachrimae "versate" dal liuto di Dowland e poi documentati da queste struggenti pagine di Coprario, nelle quali i grandi temi della caducità della vita, del disegno insondabile del destino e del mistero ultimo delle cose si riflettono in atmosfere sonore di grande fascino e suggestione, troppo spesso però risolte in un compiacimento estetizzante che tende a delineare gli stessi confini naturali di questi lavori, concepiti in un ambito di riferimento che non contempla minimamente la prospettiva di gioia salvifica che nasce dalla certezza della Resurrezione.
Le «lacrime funerarie» del titolo sono quelle riferite alle rime e alle melodie dei lamenti e dei compianti funebri riuniti nelle antologie Funeral Teares e Songs of Mourning (Canzoni del lutto), date alla stampe nei primi anni del XVII secolo e oggi riportate a nuova luce dagli ensemble Céladon e Les Jardins de Courtoisie. Accompagnati dalle sonorità antiche e felpate di arpa, liuto e viole da gamba, il soprano Anne Delafosse-Quentin e il controtenore Paulin Bündgen ci guidano attraverso le dissonanze, i cromatismi e le audaci armonie di opere che testimoniano mirabilmente dell'universo artistico fiorito intorno alla corte di Elisabetta I Tudor in uno dei periodi più controversi della storia inglese, quando all'ombra del clima di discriminazione e di terrore che marchiava a fuoco la vita religiosa delle protestanti isole britanniche sono sbocciati i capolavori letterari dei vari Shakespeare e Spenser, ma anche l'estro e il talento di compositori del calibro di Byrd, Johnson e Robinson.
Era l'epoca in cui l'alta nobiltà si dilettava a coltivare con le lettere, con gli strumenti e con il canto l'«arte della melanconia», attraverso i suoi aristocratici riti intimamente legati alla sfera musicale, già scanditi dalle celebri Lachrimae "versate" dal liuto di Dowland e poi documentati da queste struggenti pagine di Coprario, nelle quali i grandi temi della caducità della vita, del disegno insondabile del destino e del mistero ultimo delle cose si riflettono in atmosfere sonore di grande fascino e suggestione, troppo spesso però risolte in un compiacimento estetizzante che tende a delineare gli stessi confini naturali di questi lavori, concepiti in un ambito di riferimento che non contempla minimamente la prospettiva di gioia salvifica che nasce dalla certezza della Resurrezione.
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