I ricordi inattesi dell’ansia di vita

In un pomeriggio insolitamente caldo dalla finestra entra un moscone
April 13, 2025
In un pomeriggio insolitamente caldo dalla finestra entra un moscone. Grosso, ronza irrequieto, a ritrovare l’aria aperta. Sbatte contro i vetri, va via, ritenta: niente, la finestra è socchiusa e lui non ritrova la strada. Per la misteriosa chimica dei ricordi rivedo in un istante l’aula, a scuola, a maggio, con le tende di juta calate contro il sole; e il moscone che regolarmente entrava e sorvolava i nostri banchi – noi bambini ben lieti di evadere dai numeri sulla lavagna e seguire le acrobazie di una giovane mosca di primavera. Ancora – i ricordi percorrono vie che non sappiamo – insieme al moscone nell’aula risento il profumo dei tigli, dalla piazza: inebriante, dolcissimo. Ma la mosca, che ora nella mia camera di Milano fa impazzire i gatti nel tentativo di afferrarla, già ha svegliato un altro ricordo. Un moscone esattamente come lui in casa, un’estate, nel silenzio della montagna, nell’ora più calda. Tanti anni fa. Era rimasto chiuso tra i doppi vetri e si disperava, e urtava forte contro la sua prigione. Io avevo quindici anni, e in quell’ansia di vita mi sono immedesimata. Anche io, adolescente, urtavo contro pareti invisibili, da cui avrei voluto evadere. Quindi ho spalancato la finestra, e la mosca è sparita nei prati. Ne ero stata contenta. Il davanzale di legno scottava sotto alle mie mani, l’aria calda era tutto un ronzare, un frinire di grilli, le api voraci nella bocca dei fiori. Quanta vita attorno, e io lì inerte, imbambolata. Quel silenzio, quel sole imperioso, quel tutto ancora da decidere e da fare – e io come incapace del primo passo. Mi sono addormentata. Mi sono svegliata che il sole calava. Allora mi sono messa a piangere, per quel pomeriggio dei miei 15 anni perduto. Invidiavo la mosca: com’era corsa festante verso i campi. Giurai di non dormire più di giorno, d’estate: di non perdere della vita un solo minuto. Pensavo ormai all’andare del tempo: dunque davvero davvero ero diventata grande. E tanto di ricordi, mi dico ora, suscitati dal banale entrare in casa di una mosca, a primavera. Che cos’è un uomo, e cosa la sua memoria, custodita nel profondo. E noi, che ci trattiamo l’un l’altro spesso come un niente, come numeri, derrate di cose. 100mila caduti là, 200mila del nemico, accanto. Ma erano 300mila che in un’aula, a maggio, avevano seguito col naso in su le acrobazie di una mosca. Erano stati tutti bambini.

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