Epidemia di femminicidi. Ma chi educa i figli?
Bisogna formare i giovani. Mi domando chi lo possa fare. Come madre mi sentivo sempre colpevole: sapevo bene che, certi giorni, avrei dovuto essere a casa. Le madri di oggi vanno aiutate

Una legge che distingua il femminicidio dall’omicidio. Pochi anni fa lo avrei trovato illogico - la vita di un uomo o di una donna vale uguale. Ma come tutti sono sbalordita dalla quantità di mogli e fidanzate uccise, quasi una ogni tre giorni. Un’epidemia di mirata ferocia. Vent’anni fa, le statistiche degli omicidi del Ministero dell’Interno riportavano principalmente uomini, come vittime, e sempre nell’ambito di regolamenti malavitosi. Le donne uccise per motivi passionali erano rare. E certo, pene più severe, braccialetti elettronici, denunce immediate. Ma non ci sarà mai una Volante abbastanza vicina ad ogni casa italiana, quando la violenza esonda. E io non so quale soluzione si possa trovare, a questa che sembra una mutazione sociologica. Qualcosa che non abbiamo ancora capito né studiato. Ma ne varrebbe la pena. Indagare sul “prima”, su quali parole e contrasti corrono nelle case dove, poi, corrono le sirene.
Ci viene detto che l’uomo uccide quando viene abbandonato. Plausibile. I nostri padri erano una generazione che non veniva abbandonata mai. Non c’era il divorzio, le donne non avevano un lavoro. E restavano sempre. La mia generazione in buona parte già lavorava. Le coetanee di mia figlia lavorano tutte. Spesso maternità e matrimonio non sono nel loro orizzonte, almeno fino ai 30 anni. Si fidanzano, convivono, poi, se non va, abbandonano. Gli uomini sembrano rimasti alla forma mentis dei padri: la tua donna non se ne può andare. E alcuni proprio non lo tollerano: uccidono, e poi si tolgono la vita. Come se la storia e la società avessero subito dal ‘900 una brusca accelerazione, e i sentimenti degli uomini no. I sentimenti interiori sono lunghi, a cambiare.
Educazione, certo, bisogna educare i giovani. Mi domando chi, però: una scuola in crisi, o famiglie dove a fatica ci si ritrova all’ora di cena, lo smartphone acceso accanto al tovagliolo? Quarant’anni fa ho iniziato a lavorare, poi ho avuto tre figli. E’ stata davvero dura, nonostante dei preziosi nonni. Come madre mi sentivo sempre colpevole. Sapevo bene che, certi giorni, avrei dovuto essere a casa. Oggi quasi tutte le giovani madri che lavorano vivono questa divisione, che è anche emotivamente molto faticosa. Bisogna aiutarle davvero, con part time autentici e garantiti, o con assegni qualora, controcorrente, vogliano stare con i figli. Se di figli ne vogliamo ancora. Se vogliamo educarli ancora. Perché una madre che sia a casa quando i figli tornano da scuola è ormai il più grande dei lussi. Qualcuno che li aspetti, che li guardi negli occhi, che giochi con loro. Certo, anche un padre va bene, ma non è esattamente la stessa cosa. Padre e madre non erano mai stati la stessa cosa, e per me non lo sono ancora. Penso alla certezza che avevo io di trovare mia madre davanti a scuola, e a questi ragazzi che tornano in pullmino, aprono con le loro chiavi, guardano lo smartphone, accendono la tv. Perché la casa è così maledettamente silenziosa.
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