De Rita: «Vedo un movimento del sentire È orizzontale e non va strumentalizzato»

Le piazze pro-Pal, secondo il sociologo, esprimono una partecipazione «extra sindacale, extra partitica, extra politica». Non nascono dal conflitto, ma dallo sconcerto
October 3, 2025
Nella foto l'immagine del fondatore del Censis Giuseppe De Rita
Giuseppe De Rita
In piazza sfila «il movimento del sentire», che «non vuole essere partito» anche se all’interno - come spesso accade - «c’è qualcuno che strumentalizza il messaggio». Il sociologo e fondatore del Censis Giuseppe De Rita non ha ancora ben chiaro la definizione di questa «onda». Ma di una cosa è certo: «Lo sciopero generale non è lo strumento del sentire. Non appartiene a movimenti del genere».
Perché in tanti sono scesi in piazza per Gaza?
L'inizio di ogni processo sociale è legato ai movimenti, in questo caso è un movimento che non è ancora strutturato, che non vuole avere leader, che si basa sul tam tam sui social. Ma diversamente da altri movimenti legati a singole corporazioni, gruppi di interessi, a cose precise, questo è un movimento del sentire. C'è il sentimento che lega il sentire, che è di due tipi: uno molto uditivo nel senso che gli italiani hanno sentito per dieci mesi l'eccidio dei bambini e la parola genocidio e la loro è una ripetizione di quello che hanno sentito. Dall'altra parte, poi c'è un sentimento di rabbia, di disprezzo per Israele, di sconcerto per i bambini morti. Ecco perché lo definisco un movimento prevalentemente del sentire, un movimento molto più orizzontale di altri. Sorprende certo che siano però i Cobas, che sono sostanzialmente molto legati ad interessi specifici, e la Cgil, che è il grande sindacato di classe, ad aver cavalcato le piazze. Quello che mi sembra però è che il meccanismo che ha generato questa partecipazione è extra-sindacale, extra-politico potrei dire extra-partitico, non un movimento di classe, di interessi, di contrasti, neppure di conflitto. Il conflitto viene come passaggio successivo o strumentalizzato da qualcuno che sta in piazza con loro.
Perché questo sentire non ha avuto lo stesso impulso per altre guerre, come l'Ucraina?
Prima di tutto perché Gaza è stata un evento un po' più forte, fatto anche di immagini forti con persone e bambini che camminano non si sa per dove. Questo ripeto è un movimento del vedere e del sentire che si basa su fatti visivi. Immagini che per esempio per l'Ucraina non ci sono state, si dice che Mosca ha bombardato Kiev 70 volte, ma al di là di qualche immagine non si è visto molto.
Nel descrivere gli italiani spesso è stata usata l’immagine degli italiani sopiti, italiani in pantofole, questo movimento sembra un po' contraddire una tendenza?
In molti casi queste manifestazioni sono state passeggiate molto tranquille, tutti camminavano senza slogan, senza bandiere. E questa caratteristica è tipica di un movimento del sentire che è legato a una cultura del non drammatizzare. Adesso però in qualche modo si cerca di drammatizzare, adesso chi è che drammatizza non lo so. Alcuni sostengono che è l'opposizione, altri il sindacato. Continuo a pensare, comunque, che questo è un movimento che sta in piazza per consonanza, anche se c’è un gruppo interno che lo strumentalizza.
Non le sembra che l’atteggiamento del Governo italiano, e in parte dell’Occidente, finora sia stato di sudditanza nei confronti di Israele?
Chi fa politica e ha la responsabilità di governo non segue i movimenti, anche perché non si può governare solo seguendo i movimenti. Certo all’inizio Giorgia Meloni ha fatto politica seguendo i movimenti e le è andata bene. Ma ora che è a Palazzo Chigi fa politica avendo la visione dello scacchiere, a 360 gradi. Ora il movimento di piazza, se cresce per fare politica, ha dei leader, dei gruppi dirigenti, dei profeti, come fu nel ’68. Qui invece per ora non c'è nulla, non c'è nessuna traccia di un movimento che si attrezza a governare, è un movimento che vuole probabilmente restare in movimento. Però se resti in movimento devi sapere che sei solo un movimento, se invece vuoi dire che il movimento poi deve essere obbedito dal Governo, non è però possibile usare lo slogan del bloccare tutto, non ha senso. Perché bloccare tutto significa fare politica, ma la politica la fai se sei strutturato, non così.
Quindi lei è contrario alla logica dello sciopero generale?
Certo, perché lo sciopero generale è sempre stato uno strumento di interessi, non è uno strumento del sentire. Lo sciopero generale lo fai se c'è una crisi, se c'è un grave problema industriale, se ci sono interessi reali, se resti sul sentire, cavalcarlo politicamente significa non avere una capacità di trattarlo in chiave politica. Qui invece per giorni si sono rincorsi i Cobas e Landini, ed ecco che è venuto fuori lo sciopero generale.
Un'ultima domanda, secondo lei avere le piazze piene in questi giorni non è un messaggio anche per i partiti?
Chi va in piazza si aspetta sempre di essere ascoltato dai partiti, è una normale attesa. Però non essere politici è un'altra cosa, è un modo di incidere sul sentire dei partiti cercando di provocare le due reazioni fondamentali: quello come si dice in gergo del “tropismo positivo” e quello opposto “del tropismo negativo”. Il primo è la tendenza dei soggetti ad andare dietro il segnale e portare i partiti a occuparsi di questa questione e, dall'altra parte, c’è il tropismo negativo, cioè faccio politica contro quella tendenza. Non è un caso che ci siano due donne che vogliono fare tutte e due le presidenti del Consiglio. La prima segue il tropismo positivo, Schlein che segue l'onda del movimento, l'altra, Giorgia Meloni invece dice no, non la segue. Lo abbiamo visto nei giorni scorsi nella dialettica parlamentare, con i 5 stelle che stanno continuando ad essere movimento ed Elly Schlein che è una movimentista a oltranza, in questo movimento del sentire ci stanno dentro e si posizionano nella sua direzione. Dall'altra parte Giorgia Meloni dice: se governo seriamente, gestendo l’accordo con Trump, riportando a casa i parlamentari e poi gli attivisti, se sguscio la bolla del sentire, una parte dell’Italia moderata è più con me che con la Schlein.

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