mercoledì 21 maggio 2025
L'iniziativa, promossa dalla Chiesa e dagli abitanti, è un segno di affetto per il Pontefice: il suo aiuto ha innescato un processo di auto-organizzazione della comunità alle porte della capitale
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Stringe la vita di Buenos Aires con “abbraccio di tango”. Il serpente d’asfalto della General Paz disegna quasi una circonferenza intorno alla sinuosa capitale argentina, separandola dalla popolosa cintura urbana. Lasciato alle spalle il Rio de la Plata, man mano che si procede verso est, diminuiscono le aree verdi. Gli edifici parigini diventano palazzoni costruiti a metà, dalle pareti annerite dal fumo. Il paesaggio si popola di capannoni industriali dismessi: erano gli impianti di congelamento della carne in auge nella prima metà del secolo scorso. A un tratto spunta la sagoma del mattatoio, “el matadero”, che dà il nome all’ultimo quartiere dell’oriente porteño.Oltrepassata l’autostrada, Buenos Aires si dilata in La Matanza, sterminato sobborgo popolare da due milioni di abitanti, per i due terzi poveri, divisi in decine di quartieri.

Uno dei cartelli per promuovere l'iniziativa

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Eppure all’entrata si percepisce un’aria accogliente. Merito anche dei murales sparsi qua e là: c’è la Vergine di Luján, Maradona e, soprattutto, papa Francesco. Il suo volto sorridente è ovunque accanto ad alcune delle sue frasi più profetiche e l’enorme scritta “Grazie”. «In fondo è già la “sua” città. Dobbiamo solo ufficializzare il cambio di nome», racconta Lucas Pedró, insegnante e responsabile de los Misioneros de Francisco, associazione nata nell’ambito dell’Unione dei lavoratori dell’economia popolare (Utep), i “poeti sociali” che si inventano alternative dove non ci sono. Nel tempo libero, Lucas collabora all’iniziativa lanciata dai vescovi delle due diocesi di La Matanza - Eduardo García, pastore di San Justo, e Jorge Torres Carbonell, alla guida di Gregorio de Lafrrere - per unire il territorio di dieci parrocchie nella “Ciudad Papa Francisco”. Il progetto, con le migliaia di firme che si vanno raccogliendo, saranno presentate al locale Consiglio deliberante. Poi ne dovrà discutere la legislatura deliberante. La proposta sembra essere sfuggita alla morsa dell’estrema polarizzazione politica argentina. Se a presentarla sarà il deputato peronista Facundo Tignanelli, l’opposizione ha espresso cauta apertura. «Non è una questione partititca. Papa Francesco è di tutti e tutte. In questo modo, vogliamo affidare le aree più fragili di La Matanza, per cui si è speso fino alla fine, alla sua protezione e al suo aiuto», ha sottolineato il vescovo García. «Il processo è farraginoso e la burocrazia non aiuta, ma sono fiducioso», sottolinea Lucas.

La raccolta firma alla parrocchia di San José

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Gli abitanti ci tengono, come dimostrano i cartelloni a sostegno dell’iniziativa. È il loro modo di esprimere la gratitudine per quanto ha fatto Jorge Mario Bergoglio per la Matanza, prima – quando, da arcivescovo di Buenos Aires, la visitava spesso anche se non faceva parte della sua diocesi - e dopo l’elezione a Pontefice. «Tutto questo è nato con uno sgombero. Nel 1959, la dittatura del generale Onganía ha deciso di “trasferire” gli abitanti della baraccopoli cittadine. Li ha caricati sui bus e li ha spediti qui, in prefabbricati che si sono disfatti con la prima pioggia, lontano dalla vista. Aveva promesso che, nel giro di qualche tempo, avrebbero dato loro una casa popolare. Sono trascorsi quasi sessant’anni e ancora non l’hanno avuta. La gente non è abituata ad essere presa in considerazione. Per questo ama tanto Francesco che è sempre rimasto loro accanto», racconta Gustavo García, direttore de “La voz de San José”, radio comunitaria nata nell’omonima parrocchia il 20 settembre 2017. Là, sette mesi prima, era approdato padre Nicolás Angelotti, meglio noto come “El Tano” per l’inconfondibile cognome italiano, uno dei “curas villeros” ordinati dall’allora cardinal Bergoglio. «È arrivato dopo l’esperienza forte nella baraccopoli porteña di Bajo Flores su invito di monsignor Eduardo García, per promuovere la “cultura dell’incontro” in questa parte particolarmente depressa di La Matanza - prosegue il repoter -. Era convinto che la Chiesa potesse fare molto». Non sbagliava, a giudicare dal cortile con le panchine e le sdraio di legno creato intorno alla “piscina San José”, l’unica completamente gratuita dell’Argentina, nella zona di San Petersburgo, a lungo tra le più degradate. «Era una specie di discarica – spiega il responsabile, Leandro Sánchez – e ora dà la possibilità di fare corsi di nuoto a 2.600 persone alla settimana che mai potrebbero permetterseli: adolescenti e anziani, in gran parte, per cui è una delle poche forme di svago e un’alternativa alla strada». È appena una delle decine di opere costruite grazie allo sforzo congiunto della comunità su ispirazione del Pontefice nel giro di otto anni. Come il complesso dove, dal marzo 2021, 280 studenti frequentano gratuitamente elementari e medie e, la sera, decine svolgono i corsi pre-universitari. O l’asilo. O, ancora, La Colonia Esperanza che offre rifugio a donne maltrattate, malati mentali, persone senza casa. E la scuola per bimbi disabili per la quale il Papa ha mandato l’ultima tranche dal letto del Gemelli. E, poi, mense popolari, centri per chi soffre di dipendenze, cooperative di lavoro.

«La Chiesa ha avuto storicamente un ruolo cruciale per La Matanza», dice padre Santiago Roston, parroco di San Rocco e compagni martiri di Villa Palito di La Matanza, dove è succeduto a “Bachi”. Basilisio Brítez, detto “Bachi” era uno degli sfollati del 1959 che ha deciso di farsi sacerdote e dedicare l’esistenza - fino alla morte durante la pandemia del 2020 mentre assisteva gli ammalati – a trasformare la baraccopoli di 8mila abitanti in un quartiere con acqua, luce, fognature. In segno di omaggio, la strada che conduce a Palito – e incrocia con via Maradona – porta il suo nome. «Le persone di Matanza non dimenticano chi fa loro del bene – conclude padre Santiago -. Ciudad Papa Francisco non vuole, però, solo essere un segno di affetto e di gratitudine. È un modo di custodire la sua memoria e mantenerne vivo il messaggio. Il Pontefice ha fatto la sua parte fino in fondo. Ora tocca a noi – donne e uomini delle periferie di cui ha riconosciuto la profonda dignità – fare la nostra».


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