mercoledì 1 marzo 2017
L’esodo dai Paesi stremati da guerra e povertà non si ferma. L’aumento degli sbarchi in Italia è cresciuta del 50% rispetto all’anno scorso. Anche la capacità di accoglienza si è triplicata
Verso la seconda accoglienza
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L’esodo dai Paesi stremati da guerra e povertà non si ferma. Solo nella giornata del 23 febbraio sono state salvate 1.100 persone stipate su gommoni, e numerosi sono i morti sulle spiagge libiche e nei container. Nei primi due mesi dell’anno si sono contate 10.070 persone recuperate. L’aumento degli sbarchi in Italia è impressionante: secondo le ultime stime il 50% in più quest’anno rispetto all’anno scorso, quando si erano contati 181.283 migranti e richiedenti asilo sbarcati sulle nostre coste. Se si considera che nel 2015 si era trattato, secondo il cruscotto statistico del Ministero dell’Interno, di 153.842 persone, e nel 2014 di 170.100, solo considerando gli ultimi due anni e mezzo si arriva a una cifra confermata ufficialmente di circa 500.000 persone, sicuramente sottostimata rispetto alla realtà, mentre per il 2017 si prevede l’arrivo di oltre 200.000 persone.

Degli arrivati negli ultimi due anni e mezzo, però, solo 171.938 sono i rifugiati, richiedenti asilo e migranti ospiti del sistema di accoglienza italiano. E dunque oltre 260.000 persone, secondo le stime di Idos, l’osservatorio più importante che abbiamo sul fenomeno, sono fuori del sistema di accoglienza. Su questi individui non sappiamo nulla, nemmeno se sono in Italia o se hanno lasciato il Paese. Quello che sappiamo è che la maggior parte delle richieste di asilo e protezione umanitaria proviene da migranti dell’Africa sub-sahariana, e in particolare da Senegal, Mali, Nigeria e Gambia, seguiti da Afghanistan e Somalia. E sappiamo anche che l’offerta di prima accoglienza e di assistenza per questi profughi, benché molto migliorata negli ultimi anni, sia quantitativamente che qualitativamente, presenta lacune e contraddizioni.

La capacità di accoglienza si è triplicata dal 2011 a oggi, e si è estesa a tutto il territorio nazionale e a quasi tutte le regioni. Si è costituito un Tavolo nazionale asilo presso il Dipartimento Libertà Civili del Governo e passi avanti sono stati fatti per migliorare la qualità dell’offerta. Pur tuttavia sia i posti disponibili che le condizioni dei centri di accoglienza lasciano ancora a desiderare, bassa è la rilocalizzazione verso gli altri Paesi europei e molte altre criticità sono ancora da affrontare rispetto alle procedure di selezione e indirizzo ed ai tempi di smaltimento delle domande. Ma le dimensioni raggiunte dal fenomeno impongono di soffermare maggiormente l’attenzione – senza ovviamente abbandonare la prima accoglienza – sulla seconda accoglienza, e sul tema più generale e più a lungo termine del destino futuro dei flussi di arrivo, e soprattutto di quelli che non vengono intercettati ed accolti nei centri ufficiali. Innanzitutto viene spontaneo interrogarsi sulle provenienze dei richiedenti asilo accolti nei centri italiani, che rispecchiano la parte più povera e meno istruita dei flussi. Il che fa pensare alla bassa attrattività del nostro Paese per i migranti qualificati ed al nostro livello di disoccupazione, soprattutto intellettuale, che costituisce un forte disincentivo.

Lo «spreco di cervelli», di cui si parla con riferimento ai nostri giovani, trova cioè applicazione anche rispetto alle categorie più scolarizzate di profughi. In secondo luogo sono troppo deboli e limitate le azioni volte a costruire percorsi di seconda accoglienza sul nostro territorio. I centri del Sistema di protezione di richiedenti asilo (Sprar) dedicati alla seconda accoglienza, nonostante gli sforzi devoluti da molti anni da Anci e altri organismi, sono secondo l’ultimo Rapporto di Cittalia 430, dei quali 52 destinati ai minori non accompagnati e 30 a persone con disagio mentale o disabilità fisica. Nel 2015 erano 800 i comuni coinvolti, 376 quelli titolari di progetti e 29.761 i beneficiari accolti. Anche dando per scontato che in un anno i numeri siano aumentati, siamo ben lontani dall’offrire spazi adeguati per la seconda accoglienza attraverso questo sistema. E numerosi sono gli insediamenti informali di profughi e migranti irregolari, tra edifici occupati, baraccopoli, tendopoli e spazi aperti: secondo una recente stima si tratterebbe di circa 10.000 persone che vi risiedono.

Un ulteriore aiuto in termini di offerta viene dalle famiglie e dalle parrocchie che hanno aperto le proprie porte ai rifugiati, sotto l’egida di associazioni dedicate a ciò (ad esempio 'Welcome Refuges') e in ambito cattolico per la spinta data da papa Francesco e dalle diocesi italiane con l’invito ad offrire accoglienza nelle parrocchie, nelle case, nei conventi. Ma molto di più occorrerebbe fare, per evitare una cronicizzazione del disagio dei migranti, e per costruire un futuro dignitoso per loro e per tutti. Come sappiamo, l’Italia dà il meglio di sé in situazioni di emergenza. E ciò avviene anche nel caso delle migrazioni e degli sbarchi. Serve però riflettere sulla necessità di costruire un sistema di seconda accoglienza solido e volto alla realizzazione di prospettive di integrazione sociale e lavorativa di lunga durata. E se molti segnali provenienti dalla politica in diversi contesti europei non sono incoraggianti da questo punto di vista, bisogna valorizzare maggiormente le forze spontanee della società, che in molti casi hanno espresso, come ad esempio nella recente manifestazione di Barcellona, la comprensione della necessità di una accoglienza non solo emergenziale.

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