Versi a testa alta dentro il male
giovedì 12 novembre 2020

La notizia risale a 3-4 giorni fa e quando mi ci sono imbattuto son rimasto scosso e turbato: pensavo che sarebbe stata ripresa da tutti i giornali, ma questo non succede, e ne sono deluso e avvilito. Eccola: nell’armadio di un’ex prigioniera di Auschwitz è stato trovato un quaderno di poesie, scritte nel campo di sterminio dalle detenute, che lo nascondevano e se lo passavano una con l’altra, per leggerlo in segreto. Il quaderno ha 32 pagine, e le donne se l’erano procurato per annotare i nomi di quelle che morivano. Ma poi finirono per annotare sentimenti e pensieri, poesie appunto, e incitamenti a resistere. La data di scrittura è il 1943.

La prigioniera che l’ha trattenuto con sé si chiama (merita che si ricordi il suo nome) Bozena Janina Zdunek, una polacca combattente nella resistenza clandestina, e come tale catturata dalla Gestapo e inviata ad Auschwitz. Da qui nel ’44 passò a Ravensbrück, dove nel ’45 fu salvata dalla Croce Rossa svedese e portata in Svezia. In Svezia è morta nel 2015. Perché mi emoziona scoprire che le prigioniere tenevano nascosto un quadernetto di poesie scritte da loro? Che se lo passavano da una all’altra? Che volevano leggerlo e salvarlo? Perché per tutta la vita ho tenuto nella memoria una frase lapidaria e terribile di Adorno, sulla 'colpa' di scrivere poesie: «Dopo Auschwitz, scrivere poesie è un gesto di barbarie». Voleva dire che lo Sterminio ha ucciso la poesia, l’ha resa in-scrivibile, il-leggibile, im-praticabile.

Lo Sterminio mette fine all’arte come bellezza, alla poesia, alla musica. Contro la musica si era già pronunciato Lenin, quando aveva detto che «un paio di stivali val più di tutto Beethoven»: tu non puoi ascoltare Beethoven, quando sai che fuori della porta c’è qualcuno che muore di freddo. È il principio a cui obbediscono i missionari: non possono stare a casa, quando nel mondo c’è chi ha un bisogno mortale (e vitale) di loro. Questa detenuta di Auschwitz e Ravensbrück, che per tutta la vita ha conservato un quadernetto di 32 pagine in cui lei e le sue compagne scrivevano e nascondevano le poesiole che le tenevano in vita, viene però a dirci che la poesia è insopprimibile e irrinunciabile: non soltanto 'dopo' Auschwitz, ma anche 'dentro' Auschwitz. Non soltanto 'successivamente' ad Auschwitz, ma anche 'contemporaneamente'. Perché la poesia è 'resistenza'. Se il mondo è oppressione e uccisione, scrivere (versi, ma non solo versi) è liberazione.

La notizia del quadernetto di poesie, che le donne nascondevano nel lager, l’ha data l’agenzia AdnKronos, che a sua volta cita come fonte il 'Daily Mail'. Riportano un solo verso, questo: «Teniamo alte le nostre teste rasate». È un verso che suona, appunto, come un motto di resistenza e di sfida. Le teste rasate servivano ai padroni della vita e della morte perché quando facevano l’appello, e loro stavano sul cocuzzolo che sovrasta l’Appelplatz, da lassù guardando la massa delle prigioniere e vedendo la distesa di teste rasate si sentivano onnipotenti di fronte a impotenti. Da quel verso apprendiamo che le prigioniere mostravano le teste rasate non come una vergogna, ma come un’accusa.

Il figlio di Bozena Janina Zdunek ha regalato il quaderno al Museo di Auschwitz. La prossima volta che andrò ad Auschwitz (sarà la quarta), chiederò di vederlo. Lo toccherò con venerazione. Non è uno strumento di barbarie, ma di opposizione alla barbarie.

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