Gli occhi di Josephine
giovedì 19 luglio 2018

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Questo era Cesare Pavese. Verrà la pietà e avrà i tuoi occhi. Questa è per me Josephine, la donna migrante in fuga, salvata da un destino terribile. Quali che siano le teorie, un solo discrimine alla fine marca una differenza essenziale nell’umanità di ciascuno: la carne, il suo contatto, i suoi occhi. Non vi è maschera, apparato ideologico o di apparente buon senso che possa eludere la questione. Non vi è partita che valga la verità della carne. Spartiacque fondamentale. Qualcuno viene colpito e qualcuno rimane indifferente. Lucidità non è cinismo. Non vi è nulla nella politica che possa sovrastare l’uomo, perché la politica è uno strumento per l’uomo e non sull’uomo.

Ecco la divisione. Le astrazioni della ideologia possono anche essere un sofisticatissimo esercizio logico razionale, toccare vertici di intuizione geniali e tremendi, dimostrare tutto e il contrario di tutto, permettersi le aberrazioni più estreme così come le visioni più salvifiche. Con un limite invalicabile. Non toccano veramente le intime corde dell’umano, che risiedono nella carne. Nell'irrisolvibile labirinto del corpo grazie a cui esistiamo, fatto di idea, comunque concretezza, e carne sensibile. La ideologia ritira la merce senza pagare il prezzo. Di cui la carne diventa poi debitore a tassi da usura. Ideologizzare significa negare l’intima natura dell’uomo. Significa aspirare alla negazione dell’uomo anche se equivale a negare se stessi poiché nessuno ovviamente sfugge alla sua stessa carne.

Sarebbe incomprensibile se non fosse una forma ipocrita che nasconde le reali profonde motivazioni di sopraffazione, potere e dominio. La ideologia è esattamente come ogni forma di bellezza ideologizzata. Strumento per affermare se stessi più che una tensione a concorrere al cammino dell’uomo. Da tempo il dibattito sulle migrazioni, sui migranti, ha toccato vertici di non senso e, a tratti, di pura follia che possono essere spiegati solo con la mancanza di una reale coscienza di quello che succede e con il cinismo che caratterizza in particolare coloro che pensano di avere qualcosa da perdere illudendosi di detenere lo ius primae noctis sul mondo, illudendosi di possedere. Non voglio entrare nel merito del labirinto spesso grottesco e tragico delle teorie, voglio andare a monte delle questioni. A monte di tutto non sono i dettagli strategici, le logiche internazionali e tutte queste cose che devono essere conseguenza di una visione del mondo, non causa.

A monte di tutto c’è la carne. La carne dell’uomo. La mente umana è fatta strutturalmente per essere in grado di immaginare ogni cosa. Le aberrazioni peggiori e le vette dello spirito più elevate. La rarefazione più perfetta così come la brutalità più viscerale. Ciò che fa veramente la differenza e divide l’umanità è un solo fatto. Lo scontro-incontro con la carne, identità tangibile dell’esistenza di sé e degli altri. Ciò che distingue veramente l’uomo non criminale dal criminale è che nel primo, al vaglio del confronto con la carne vera, con la concretezza diretta e senza intermediari, le aberrazioni svaniscono al soffio del respiro dell’altro, che tocchi, che vedi, che incontri.

La disumanità, che in parte tutti abbiamo ereditato dalla genetica di una sopravvivenza naturale e terribile, si smaterializza perché la empatia verso l’altro che tocchiamo, vediamo e sentiamo, è più forte, potente. Di una potenza che si impone come lo sguardo di Josephine, recuperata da una tragedia tremenda, che in sé impone la pietà sopra ogni cosa. Non so se dipende dal fatto che mio padre è morto nell’oceano davanti alla Tierra del Fuego, in un naufragio, per il freddo, per fare il suo lavoro, in una di quelle carrette del mare che in Argentina si usavano negli anni 60 del Novecento per far riscuotere alle compagnie navali i premi di assicurazione se, come il più delle volte era destino, affondavano.

Certo lo sguardo di Josephine ti domanda come un urlo strozzato dall’orrore se sei un uomo. Quello sguardo che implora la pietà degli uomini e di Dio, che chiede conto del perché, destinata a non avere risposta, con il terrore di un mare naturalmente indifferente, tomba senza luogo, che ti uccide senza conforto, è come un rasoio.

Divide inesorabilmente tutti noi in due gruppi. Gli uomini e i non uomini. Coloro che provano pietà e se ne lasciano guidare, e coloro che in nome della propria innata insensibilità, negano la legittimità potente e amorevole della carne. Quella carne che un giorno li chiamerà tutti a giudizio, nei luoghi più svariati. Forse solo allora, troppo tardi, li farà riflettere su quanto la pietà e l’empatia sono la unica ricetta per un mondo a misura d’uomo che reclameranno per sé avendola negata agli altri. Inutilmente.

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