sabato 23 novembre 2013
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Sgomenta la notizia che una scuola della pro­vincia di Reggio Emilia ha deciso di impe­dire la visione di una mostra itinerante dedicata a Rolando Rivi, giovanissimo seminarista, quat­tordici anni, ucciso da un gruppo di partigiani comunisti nell’aprile 1945 e fatto beato da pa­pa Francesco nell’ottobre scorso. Sgomenta perché la scuola è intitolata ad Anna Frank, as­sassinata poco più vecchia di lui dai nazisti nei loro campi di sterminio.
E se c’è qualcosa che la memoria della Shoah ci insegna è a non sep­pellire le memorie sotto pretesti ideologici di nessun tipo. Anche se si tratta di memorie sco­mode. Scomode perché ad assassinare il ra­gazzo, che era tornato nel suo paese dal semi­nario a causa della guerra e continuava a stu­diare e a vestire l’abito del seminarista in quei giorni confusi e tragici che precedono la libe­razione furono dei partigiani di una brigata co­munista, poi condannati a una pena detentiva in parte amnistiata. Scomode, perché il ragaz­zo di nulla era colpevole se non di essere un se­minarista, e la sua uccisione avvenne in nome di un odio della religione diffuso in quelle zo­ne, un anticlericalismo (di cui partecipò ap­pieno anche Benito Mussolini, ricordiamolo) che aveva, nei decenni passati, prodotto solo slogan e parole, ma che nel furore di una guer­ra terribile si mutò in un’arma di morte.
Tanto più terribile è questa vicenda in quanto quel ragazzo era, sembra, legato non ai fascisti di Salò che avevano seminato morte e distruzio­ne, ma ai partigiani cattolici che, insieme a quel­li comunisti e a quelli di 'Giustizia e Libertà', anche se non senza tensioni, stavano combat­tendo contro nazisti e fascisti. La motivazione di questa censura è stata che la mostra avrebbe «gettato fango sulla Resisten­za ». Io credo che invece proprio chi si richiama alla lotta della Resistenza, chi distingue netta­mente, come me, nella tragedia di quegli anni, fra i partigiani e i repubblichini amici e servi dei nazisti, impegnati a deportare gli ebrei e a compiere stragi sui civili, ha tutto l’interesse a non rimuovere e censurare il passato, ma a chia­rirlo e raccontarlo, farne memoria.
Alla luce della storia, certo, con le prove documentarie e obbedendo al rigore dello storico. Tanti eventi sono stati obliati, censurati, na­scosti in nome della rinascita dell’Italia, degli equilibri fra nazioni, della guerra fredda, delle ideologie, del comunismo. I processi memo­riali hanno trovato in queste esigenze 'supe­riori' tanti ostacoli: dalle stragi naziste sepolte negli armadi della Repubblica per non urtare la suscettibilità della Germania rinata nell’Eu­ropa della guerra fredda, alle violenze del trian­golo della morte, alle foibe istriane.
Questi e­venti devono tutti essere ricordati, e ancor più ricostruiti e narrati, e non perché i repubbli­chini e i partigiani fossero la stessa cosa, ma proprio perché non lo erano. Perché se avesse­ro vinto i fascisti, tanto per fare un esempio, io come ebrea non sarei qui a scrivere queste ri­ghe. L’unico modo di difendere la memoria è quello di ricordare anche i fatti che preferi­remmo negare, che non vorremmo che fosse­ro mai avvenuti: la zona grigia o, peggio, una zo­na tutta nera di violenza e di assassini compiuti in nome della libertà. L’assassinio di Rivi è uno di questi. L’uccisione del beato Rivi, non la mostra a lui dedicata, è un episodio suscettibile di infanga­re la memoria della Resistenza.
Ricordarlo è an­che un modo per restituire la memoria, sepa­rando il grano dal loglio, gli assassini dai parti­giani che lottavano per liberarci dai nazisti e dalla dittatura fascista. Non dobbiamo stan­carci di cercare la verità, di ricostruire i fatti del passato e di serbarne memoria. Senza censu­re, senza remore ideologiche di nessun tipo. Perché solo la verità consente la memoria.
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