sabato 14 gennaio 2017
La scelta di donare il sangue: un impegno di solidarietà, la condivisione sofferta con chi è malato, il valore del dono
Al Policlinico di Milano il direttore generale Simona Giroldi e il direttore sanitario Laura Chiappa hanno donato il sangue e diffuso questa foto su Twitter lanciando un appello a donare

Al Policlinico di Milano il direttore generale Simona Giroldi e il direttore sanitario Laura Chiappa hanno donato il sangue e diffuso questa foto su Twitter lanciando un appello a donare

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Non è un’emergenza nazionale, ma certo siamo in una fase di forte criticità. Una serie di fattori esterni – dall’epidemia di influenza al calo delle vaccinazioni, fino al gelo che da ultimo ha bloccato le strade – ha inciso sulla raccolta di sangue facendo calare di molto le donazioni periodiche, quelle che assicurano il flusso costante e necessario alle strutture sanitarie.

Le conseguenze sono il rinvio di molte operazioni chirurgiche differibili, il prosciugamento delle scorte e qualche situazione particolarmente critica, risolta però con raccolte straordinarie e scambio di sacche da un capo all’altro delle singole regioni o del Paese.

Se oggi non siamo costretti a registrare né decessi né irreparabili carenze nell’assistenza ai malati lo dobbiamo certamente alla qualità del nostro sistema sanitario, che da anni ormai ha raggiunto l’autosufficienza quanto a copertura del fabbisogno di globuli rossi, plasma e altri componenti. Ogni anno, infatti, vengono raccolte oltre 3 milioni di sacche di sangue da circa 1,7 milioni di donatori tra i 18 e i 65 anni. E se in tre Regioni – Lazio, Sardegna e Sicilia – permangono criticità, in quelle del Nord generosità ed efficacia della raccolta permettono di supplire alle carenze in maniera solidale. La nostra sanità pubblica – ricordiamocene sempre – non è solo barelle che mancano, disinteresse di qualcuno o sprechi: è anche questo, è soprattutto questo. È un sistema che funziona e assicura salute a tutti i cittadini. E non è un caso che il sistema di gestione del sangue (assieme a quello dei trapianti) rappresenti una delle eccellenze, perché in questo segmento si realizza un incontro virtuoso fra generosità dei donatori, professionalità mediche e volontariato associativo. È questa sinergia benefica a fare la differenza, a generare un bene comune immenso: salute che torna, speranza che si riaccende contro malattie e incidenti, vita donata che viene re-infusa. Bene, fatto bene che genera bene.

La criticità nella quale ci troviamo probabilmente è solo contingente, destinata a passare come i mali di stagione, ma deve farci riflettere sul duplice rischio di 'anemia' che corriamo. Una mancanza 'fisica' di sangue dovuta al calo demografico e all’invecchiamento della popolazione che peggiora il rapporto tra potenziali donatori e popolazione ricevente. Ma più ancora il rischio di un’anemia 'morale', di un affievolirsi della generosità, del crescere di disinteresse e chiusure egoistiche – «ci penserà qualcun altro, deve assicurarlo lo Stato...» – fino a quello che è forse il rischio peggiore: l’inconsapevolezza di sé e degli altri, della salute propria e di quella del prossimo. È vero, in ogni emergenza – un incidente ferroviario, un terremoto – cresce in maniera costante la spinta emozionale a donare. Ed è confortante vedere quante persone, quanti giovani corrono negli ospedali per offrire il sangue. Slanci bellissimi, ma che purtroppo hanno spesso vita breve, non si trasformano in impegno costante. Più ancora che per mancanza di buona volontà, spesso per ignoranza delle conseguenze di tanti comportamenti che mettono a rischio il benessere loro e degli altri. Alcol, droghe, promiscuità, infezioni varie... sono tante le 'cattive abitudini' a cui sono esposti in particolare i giovani, che incidono sulla loro salute e impediscono poi la donazione di sangue.

Stendere il braccio per donare il sangue non è solo una bella generosità episodica, è soprattutto impegno di solidarietà, è condivisione sofferta con chi è malato. È una 'partita di giro', non truffaldina ma virtuosa: chi può, chi è in salute ne riversa un po’ a chi non è sano. Consapevole di aver ricevuto un dono – lo 'stare bene' è questo, prima che un merito – lo condivide in maniera anonima e in cambio ne riceve un’autodisciplina. Donando si comprende il valore di quel che si dona, si impara a 'conservare' la grazia di essere in salute, cercando di fare attenzione a ciò che si fa. Soprattutto, chi dona il sangue diventa consapevole che quella salute, quel benessere non sono solo 'suoi', ma sono una responsabilità che porta nelle vene. La responsabilità verso l’altro. Verso il ragazzo che cade con la moto, il bambino emofiliaco, l’anziano che dev’essere operato. È provare a pensarsi sempre come un 'noi', mai solo come un 'io', nel più profondo di se stessi. È l’anemia che non vince, è il fluire della vita condivisa.

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