domenica 25 marzo 2012
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Sono saliti a cinquanta i militari italiani morti in Afghanistan dal 2004, anno di inizio della mis­sione Isaf, a testimonianza di quanto sia stato e re­sti rilevante il nostro impegno per la stabilizzazio­ne di un Paese che, dagli anni Settanta del secolo scorso, è stato ininterrottamente devastato da san­guinose guerre civili e interventi militari stranieri. La responsabilità complessiva del settore occi­dentale del Paese, compreso il distretto del Guli­stan, dove la provincia di Farah confina con l’Hel­mand, è affidata al nostro contingente, dal cui co­mando dipendono le forze di una dozzina di altri Paesi. Il “Comando Regionale Ovest” è stato a lungo con­siderato uno dei meno esposti alla penetrazione dei taleban e alla diffusione dell’insorgenza rispetto ai più turbolenti settori Sud ed Est, confinanti con il Pakistan, il cui doppio gioco nei confronti di Isaf è ben più che un sospetto. Negli anni passati, pro­prio nell’Helmand si sono combattute le battaglie più aspre, ingaggiate principalmente dalle forze anglo–americane, coadiuvate da canadesi e olan­desi. Uno sforzo che ha reso meno sicuro il movimen­to delle forze ostili nella regione, al punto da spin­gerle a migrare verso il Farah e il Gulistan, aree sot­to la responsabilità italiana. Non per caso, nel cor­so degli ultimi dodici–diciotto mesi, la presenza e l’attività delle formazioni insorgenti nel settore oc­cidentale è aumentata proprio a partire dal di­stretto chiave in cui è posizionata la “Ice”, la base oggetto dell’attacco mortale di ieri. Ma non è stato soltanto l’incremento di sforzo “ci­netico” nel Sud – per utilizzare il gergo Nato, cioè l’aumento di operazioni “scova e distruggi” – ad a­ver reso più caldo il clima nell’Ovest. Almeno altri due fattori devono infatti essere considerati. Il pri­mo è il riprendere in grande stile delle manovre i­raniane nella regione. L’Iran ha svolto una politica molto ambigua verso la presenza di Isaf in Afgha­nistan. Dopo un lungo momento iniziale in cui la Repubblica islamica ha sostanzialmente appog­giato l’azione volta a rovesciare l’odiato regime ta­lebano (finanziato dai pachistani e dagli arcine­mici sauditi), Teheran ha cominciato a guardare le cose con occhio assai meno benevolo. L’influenza dell’Iran nell’Ovest dell’Afghanistan è legata alla concentrazione nella regione della mi­noranza sciita, ma la decisione di utilizzarla con­tro la presenza straniera dipende essenzialmente dallo stato delle relazioni tra Teheran e l’Occiden­te, che in questo momento sono pessime e in co­stante peggioramento, tanto più dopo l’approva­zione di ulteriori sanzioni da parte della Ue appe­na pochi giorni fa. Certo è che un Iran sempre più apertamente ostile alla presenza alleata costrin­gerebbe a riconsiderare i numeri e le modalità d’a­zione dei contingenti schierati nel settore Ovest, compreso il nostro ovviamente. Proviamo poi a immaginare solo per un momen­to che cosa dovremmo aspettarci in termini di at­ti contro le forze Isaf se Israele dovesse depreca­bilmente decidere di lanciare un attacco militare contro le installazioni nucleari iraniane. In un si­mile scenario, la situazione potrebbe divenire sem­plicemente insostenibile con questi numeri e con un calendario di ritiro già scritto. Ed è questo l’ultimo fattore che concorre a spiegare il peggioramento della situazione complessiva e che di sicuro influenza anche le scelte di Teheran. Ci riferiamo al cosiddetto “trasferimento di pote­re” alle autorità afghane entro il 2014 e al ritiro del­le truppe occidentali dal Paese. La transizione non sta procedendo affatto bene, e sulla lealtà delle for­ze di sicurezza del “nuovo Afghanistan” al governo centrale c’è parecchio da dubitare. Uno degli scenari più ottimistici, a fine 2014, è la sostanziale cantonalizzazione del Paese con il ri­torno dei signori della guerra che già stanno trat­tando sottobanco le future strategie di alleanza. In questo quadro, Teheran ha un interesse evidente a stringere rapporti con i leader della confinante regione e a giocare la propria influenza a favore di qualche “warlord”, in vista di una penetrazione po­litica e commerciale in un Afghanistan in cui Kar­zai, ad andar bene, sarà il sindaco di Kabul o poco più.
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